
Spesso si commette l’ingenuità di paragonare una partita di calcio a un film, specialmente a un kolossal rimasto impresso nella memoria popolare. Si pronunciano nomi del calibro di Kubrick, Lynch, Fellini, dimenticando l’elemento fondamentale che ha permesso che si realizzasse un’impresa sportiva: l’imprevedibilità. Non esiste un copione già scritto, i numeri e le relative statistiche – la rovina del calcio contemporaneo – sono utili soltanto per i cinghiali laureati in matematica pura come diceva De André. Inoltre, quando in campo scende il Football Club Internazionale Milano, non è possibile immaginare alcunché. Scommettere sulla quota di un risultato esatto poco prima che i nerazzurri di Milano possano scrivere l’ennesima pagina della loro storia è semplicemente immorale.
Abbattuto il globalismo blaugrana
Ovunque, soprattutto nei luoghi di maggiore affluenza delle masse – aeroporti, stazioni delle grandi città europee, edicole e librerie di quest’ultime, agorà digitali di ogni tipo – campeggiano spesso le immagini e i brevi video che immortalano l’onnipotenza sociale dei signorini e dei signori del calcio militanti al di fuori dell’Italia. Yamine Lamal, talento purissimo, è un’icona di moda pressoché ovunque. Raphinha e i suoi occhiali da ciclista riescono a conquistare le copertine di diversi giornali internazionali. Eppure, nonostante certe batoste subite, l’attrattiva che questi giocatori esercitano sembra essere impossibile da scalfire. Tuttavia, ecco che per l’imprevedibilità dell’azione umana – specialmente se nerazzurra – queste statue di argilla crollano su sé stesse, grazie alle reti segnate da due ragazzi che hanno fatto della provincia e della borgata (Francesco Acerbi e Davide Frattesi) il loro luogo primordiale, il terreno dal quale trarre la linfa necessaria per affrontare partite di questo calibro. Il globalismo blaugrana, che è anche Merengues o Citizens, può dominare, offrire un calcio di altissimo livello, ma non esce mai fuori dagli schemi del “guardiolismo” e quel solito giro del pallone da una parte all’altra, che in un istante si accende grazie al lampo di genio del solito fuoriclasse pagato grazie al potere di questi squadroni, sta cominciando a cadere sotto i colpi della volontà di uomini che sanno che il calcio è soprattutto un gioco “sporco”. Così l’Inter ha battuto il Barçelona, imponendo un ritmo che ha sorpreso gli avversari nel primo tempo per costanza e ardimento, e che ha morso come un aspide nel momento in cui la lussuria di esultanze già ritagliate per i post su Instagram sembrava aver avuto la meglio. Le ali tatuate di Acerbi e la scalata al cancello giallo di Frattesi, simboli di un calcio di fatica antica e sudore rurale, sono riusciti a imporsi perché rappresentano tutto ciò per cui noi ci siamo appassionati al rettangolo verde costellato dalle due porte.
Nerazzurri in volo sulla Mitteleuropa
I fumi delle birrerie di Monaco di Baviera restano l’ultimo ostacolo capace di celare lo scintillio della coppa dalle grandi orecchie. In mezzo, una squadra tra Arsenal e Paris Saint-Germain. L’Inter ha già saggiato le cannonate dei gunners, sebbene al Meazza i nerazzurri hanno avuto la meglio sulla compagine londinese. Gli arabo-parigini restano un’incognita difficile da decifrare, specialmente dopo l’addio di Mbappé. Eppure, la trasvolata deve continuare fino a quel podio allestito al termine della finale, il quale è predisposto per accogliere i vincitori della Champions League. Ovunque, soprattutto lungo le tendine finemente ricamate dai progettisti di Instagram, il popolo è insorto contro la solita narrazione cucita ad hoc sulle squadre che ogni anno dominano il calcio europeo, elargendo l’Inter di complimenti, di giudizi più che positivi e anche – come nel caso dei seguaci di Taremi – di benedizioni provenienti dai cuori puri dell’Islam. In queste righe abbiamo già citato diversi elementi: la borgata, la provincia, la fede. Ne manca solo uno che ancora non abbiamo citato, perché quando si scrive sull’Inter anche il fluire della nostra penna diventa imprevedibile e fulmineo, ed essa è la tradizione. Il Barçelona di Guardiola, al pari di quello di Flick quindici anni dopo, aveva creduto nella speranza di una “remuntada” che si era quasi realizzata, salvo poi sgretolarsi sotto i colpi ferrigni della Beneamata jüngeriana. Un passaggio al bosco, ecco cosa sta avvenendo tra i pini di Appiano Gentile. Un lungo andare al di fuori di quel triste patinato che gli sponsor mondiali offrono agli occhi degli stanchi viaggiatori del mondo odierno. L’Inter è il naturale nemico della pubblicità, il male del secolo (diceva Céline), perché le sue gesta scrivono la storia. La prima sparisce dopo un battito di ciglia, l’altra resta, imperitura, a ricordare che i vessilli nerazzurri sono ancora una volta pronti a essere sventolati in una finale di Coppa dei Campioni.
Quasi Grande Barcellona che, però, essendo debolissimo in difesa, in 2 partite ha regalato almeno 5 goal ad una Inter mediocre, priva di gioco, solo Super Fortunata.
Ero convinto del passaggio dell’Inter grazie ai goal regalati all’andata del Barcellona.
È stata solo fortunata l’Inter.
Si è visto sì un quasi Grande Barcellona, ma dal centrocampo all’attacco, ma con una difesa che ha regalato goal assurdi ad una squadra mediocre come l’Inter.
L’Inter poteva pur non scendere in campo avrebbe passato lo stesso il turno. La Dea Fortuna aveva deciso che dovevano essere i mediocri nerazzurri a passare il turno. Del resto, una squadra attualmente di basso livello internazionale, solo così poteva guadagnare e vincere la finale: con la Fortuna!!!!
Con tutto il rispetto per l’autore dell’articolo, mi sembra la solita analisi di sinistra e da sinistra “sociologica”…che non porta al nulla.
Vedendo numeri e gioco espressi dal campionato e sul campo: notiamo che l’Inter è stata solo Fortunata.