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La stanza dell’ospite. Il 25 aprile rimane festa nazionale divisiva

Ognuno commemori i suoi senza che lo Stato, con un un ossimoro, si renda "partigiano"

by Dino Cofrancesco*
29 Aprile 2025
in Corsivi
2
Giorgia Meloni sulla tomba dei fratelli Govoni, trucidati a guerra finita dai partigiani

Da tempo mi chiedo quale sia il senso di una festa nazionale come il 25 aprile così fortemente divisiva. E tale non perché odiata dai fascisti – da quei pochi ancora sopravvissuti – ma perché poco sentita da tanti, tantissimi italiani che, come il grande (e dimenticato) storico Renzo De Felice, pensano che una democrazia liberale non possa costruirsi su un ‘anti’(antifascismo), ma su valori e principi condivisi.

Ora e sempre odiare

Un amico e collega mi ha scritto che la divisività è inevitabile, “perché i partigiani, di qualsiasi cosa siano partigiani, rappresentano e non possono che rappresentare una parte e non un tutto, tantomeno in senso integrale, etico, nazionale, organico,  etc. Il 25 aprile è data partigiana”.
Sennonché, in altre parti del mondo, date come il 4 luglio (Independence Day), il 14 luglio (Presa della Bastiglia), il 9 maggio (celebrazione sulla Piazza Rossa della vittoria contro i tedeschi invasori) uniscono i cuori, non riaprono antiche ferite , rialzando i paletti: noi di qua, loro di là.

Dopo il 24, venga il 26? 

“Chi  davvero crede in una patria indivisa – prosegue il mio interlocutore – e vuole celebrarla indivisa e in divisa (cioè uniformata) rivendicando come parte viva e ispiratrice della nostra tradizione politica anche l’esperienza del fascismo, dovrebbe quindi non solo proporre di abolire il 25 aprile, ma proporsi anche di proibirne e impedirne la celebrazione in ogni forma e ad ogni costo, avendo cura di cancellarne la memoria”.
E perché mai? Io sono per l’assoluta libertà di tutti di celebrare uomini ed eventi ai quali ci si sente legati sentimentalmente e ideologicamente. I neoborbonici, che si riuniscono a Civitella del Tronto, come i reduci di Salò, hanno tutto il diritto di ricordare i loro martiri in un giorno stabilito dell’anno.

C’è del marcio in Italia

Ma qui si tratta di feste nazionali, di scuole chiuse, di manifestazioni pubbliche, di commemorazioni ufficiali, di discorsi delle più alte cariche dello Stato etc., di retoriche civili che debbono parlare a tutti gli Italiani, conservatori o progressisti, credenti e non credenti, settentrionali o meridionali.
Se questo non avviene, vuol dire che ‘c’è del marcio in Danimarca’, che apparteniamo a un popolo che, per darsi un’identità etico-sociale, ha bisogno di nemici e di ghigliottine (non sempre solo metaforiche).
*Professore emerito di Storia delle dottrine politiche all’Università di Genova
Da Il Giornale del Piemonte e della Liguria, 29 aprile 2025
Dino Cofrancesco*

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Tags: 25 apriledino cofrancescofesta divisiva

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Comments 2

  1. pasquale ciaccio says:
    2 settimane ago

    Purtroppo è così. Personalmente non ne posso più del 25 aprile che viene strumentalizzato dalla solita parte politica che s’ arroga il diritto di essere la sola a celebrarlo. Ipocriti che negano ciò che successe nel ‘ 45 nel triangolo rosso emiliano da parte dei partigiani comunisti. Sarebbe da abolirlo ma vi sarebbe la rivoluzione

  2. Sandro says:
    1 settimana ago

    Condivido, è una “festa” divisiva e dunque da abolire

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