
Alessandro Colombo insegna Relazioni internazionali all’Università Statale di Milano. Osservatore della crisi dell’ordine mondiale liberale, ne Il suicidio della pace (Cortina, 2025) descrive il crollo dell’ordine internazionale guidato dall’Occidente.
L’Occidente non li avverte come tali?
“Quegli errori riflettono forzature, contraddizioni e amnesie ben radicate, sin dall’inizio, nel trionfalismo della cultura politica emersa dalla fine del ‘900. A gestire le conseguenze della crisi dell’ordine liberale restano le stesse élite politiche e intellettuali che l’hanno concepito. E che non si smarcarno dalle sue premesse, neppure di fronte a lezioni durissime della realtà”.
Con l’11 settembre 2001 e la “guerra al terrore”, il diritto bellico tradizionale è stravolto.
“Lo vediamo nella brutalità senza limiti della guerra in Palestina: l’assuefazione crescente ad accettare ‘danni collaterali’ nella caccia (a maggior ragione se riuscita) a terroristi veri o presunti; interpretazione sempre più estensiva della nozione di ‘doppio uso’, tale da consentire di colpire qualunque tipo di infrastruttura civile accusata o semplicemente sospettata di prestarsi a un (possibile) uso militare; la forzatura della nozione stessa di proporzionalità, tale da trasformare un principio concepito per proteggere i civili in uno strumento per giustificare la violenza”.
Categorie come “Stati canaglia” o “terroristi” cancellano la reciprocità tra Stati. È questo il punto di non ritorno?
“Questo è stato, dall’inizio, uno degli elementi di maggiore fragilità del Nuovo Ordine Mondiale liberale. Il quale, da un lato, si è proclamato come un ordine – il primo – autenticamente cosmopolitico o ‘umanitario’. Ma, dall’altro, ha incluso sin dall’inizio un rigidissimo principio di discriminazione, a favore delle democrazie liberali e dei loro alleati senza tenere conto – o tenendo conto il meno possibile – delle preferenze o delle preoccupazioni di tutti gli altri. I quali, alla prima occasione, lo hanno rimesso in discussione”.
Crescita cinese: l’Occidente sa gestirla?
“La crescita cinese costituisce una sfida indubbia all’egemonia degli Stati Uniti e dei loro alleati. Ma a rendere più difficile gestirla contribuisce il fatto che la nostra cultura politica (non solo internazionalistica) sembra non più in grado di concepire la competizione e il conflitto. Nelle relazioni internazionali ci sono sempre sfidanti: anomalo, se mai, è lo strapotere americano dell’immediato dopoguerra fredda”.
Guerre ibride, senza confini né regole, sono la fine del modello westfaliano?
“Fondato sulla doppia centralità dell’Europa e dello Stato, il modello westfaliano è in crisi probabilmente irreversibile da quasi un secolo. La crisi delle regole della guerra ne è una delle principali manifestazioni. Si tenga a mente che l’ibridazione tra guerra e pace era già una delle tendenze più distruttive del ‘900, dal fenomeno della ‘guerra totale’ a quello della ‘guerra fredda’”.
Il lessico delle élite si militarizza pericolosamente…
“E’ pericoloso sul piano della comprensione storica, perché suggerisce rappresentazioni rozzamente dualistiche della realtà politica interna e internazionale, come la contrapposizione tra democrazie e autocrazie. Ed è pericoloso per la natura del dibattito pubblico, perché incoraggia la solita caccia ai ‘nemici interni’ e alimenta, con ciò, fenomeni deprimenti di censura e di auto-censura”.