
La morte di un Papa è sempre uno spartiacque. Non solo per la Chiesa, ma per il mondo che, attraverso essa, interroga il proprio rapporto con la trascendenza, con il tempo, con la verità. In attesa del prossimo conclave, mentre le speculazioni si rincorrono tra geopolitica vaticana e pesi cardinalizi, si impone una domanda più, filosofica, esistenziale: che cosa cerca oggi l’uomo europeo nella religione?
Sopravvalutazione della scienza
Una prima osservazione è di ordine storico. Per secoli l’Europa ha utilizzato la religione come una forma mitica di razionalizzazione: non il fine, ma il mezzo per attribuire senso a ciò che sfuggiva alla comprensione empirica. Dio spiegava ciò che la scienza non poteva. Ma il paradigma è cambiato: la scienza ha esteso il suo dominio, ha dato risposte dove prima c’erano solo domande. E l’uomo moderno, illuso da un’apparente autosufficienza cognitiva, ha iniziato a credere alla scienza e a credere meno nella religione.
Questo passaggio ha avuto un prezzo. La verità, da presenza luminosa ed enigmatica, si è trasformata in oggetto di verifica, mentre il senso è stato relegato a sentimento individuale, soggettivo, fluido. Ma ora, in questo tempo che chiamiamo postmoderno – e che forse è solo postumano – qualcosa sta cambiando.
Martin Heidegger insegna che…
Viviamo in un’epoca disorientata. Le guerre ci raccontano versioni divergenti della realtà, i social media distorcono la percezione, le fake news invadono ogni canale, e la stessa intelligenza artificiale – simbolo della nuova era – ci restituisce risposte prive di interiorità. Il risultato? Un uomo sempre più gettato nel mondo, sradicato, incerto, affamato non di spiegazioni, ma di fondamento. Perché, come ci ricorda Martin Heidegger, «la scienza non pensa», può accumulare dati, non generare senso.
È qui che la religione torna. Non come scienza parallela, non come ideologia o morale codificata, ma come presenza salvifica. Non a caso, è il Sud del mondo a crescere nel corpo ecclesiale: Asia, Africa, America Latina. Lì dove il senso del mistero non è stato annientato dalla razionalizzazione, la fede resta viva. Ma proprio per questo, l’Europa – che sembra averla perduta – potrebbe paradossalmente essere più pronta a riscoprirla.
Un rifugio per l’Europa
L’Europa non è atea. È orfana. Orfana di verità, di padri, di radici, di un linguaggio che sappia dire l’ “Invisibile” senza tradirlo. In questo vuoto esistenziale, il prossimo Pontefice potrebbe avere un compito titanico, ma necessario: non riconquistare l’Europa, ma offrirle rifugio. Non imporsi come autorità, ma mostrarsi come appiglio. In un mondo dove tutto fluttua, chi sa dire “Ecce Veritas” potrà essere ascoltato come nessuno.
Forse oggi più che mai, il destino dell’Europa si gioca non sulla tecnica, non sulla politica, ma su una domanda insaziabile: in che cosa possiamo ancora credere?