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La stanza dell’ospite. I rigurgiti antifascisti nel giorno dell’odio

Memorialisti sempre, storici mai. E così l'Italia non trova ancora una festa di concordia

by Dino Cofrancesco*
26 Aprile 2025
in Corsivi
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L’immagine sulla copertina del saggio revisionista di Giampaolo Pansa “Il sangue dei vinti”

“Il più bello esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere (e ne raccomandiamo agli esperti la più accurata descrizione e catalogazione) è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dare del fascista a chi fascista non è”. Leonardo Sciascia

“In Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti”.

Ennio Flaiano

Un caro e compianto amico, professore ordinario di Medicina Interna all’Università di Genova, E. R., mi raccontò, qualche anno prima di morire, che il padre, medico condotto di un piccolo paese del Basso Piemonte, nel 1944 era stato svegliato nel cuore della notte da un gruppetto di partigiani, che avevano deciso di fucilarlo con l’accusa di collaborazionismo.
 

Ladra giustiziera

L’uomo, in realtà, non si era mai interessato di politica: durante la guerra, aveva continuato a esercitare la professione da cattolico zelante, sempre pronto a soccorrere i compaesani – specie quelli indigenti che visitava e curava gratuitamente. A capeggiare il gruppetto era una sua ex infermiera, che aveva fatto licenziare
tempo addietro, avendola sorpresa a rubare nell’armadietto dei medicinali.

Arrivati sul luogo dell’esecuzione, a salvare il padre dell’amico fu l’improvviso arrivo in bicicletta di un altro partigiano che, avvertito di quanto era accaduto, si era precipitato per impedire l’esecuzione. ”Ma siete impazziti? State fucilando una persona perbene e rispettata da tutti”. Un episodio emblematico dell’ambiguità e della complessità delle vicende umane: da un lato la Resistenza delle vendette personali, degli sciacalli che approfittano dell’occasione per fare i conti con i loro vicini; dall’altro, la Resistenza delle persone oneste, che ricorrevano alla violenza mosse da idealità che nulla avevano a che vedere con il loro tornaconto e le loro biografie.

Ricordare Giampaolo Pansa

Non so se l’episodio fosse noto a Giampaolo Pansa, benemerito autore di tanti libri e racconti sulla guerra civile (chi si ricorda più di lui sui media di regime?), ma, nel dubbio, ho ritenuto opportuno portarlo a conoscenza dei lettori. Anche perché spiega bene le ragioni per le quali alla Resistenza e alla lotta antifascista si continua a guardare, da parte degli Italiani, con sentimenti e giudizi storici e morali profondamente diversi e divisivi.
La differenza non passa attraverso quanti si sentono eredi dei valori del 25 aprile e quanti appartengono a famiglie che alla Repubblica Sociale hanno aderito, “per salvare l’onore della nazione” o per altri motivi nobili e meno nobili, bensì tra quanti si riconoscono nell’ideologia che sta alla base della più bella “Costituzione del mondo” e quanti si sarebbero trovati, per indole e mancanza di interesse per la politica, nella “zona grigia”, che, secondo il più grande storico del fascismo, Renzo De Felice – si veda il magnifico libro di Francesco Perfetti a lui dedicato: Per una storia senza pregiudizi. Il realismo storico di Renzo De Felice, Ed. Aragno – tra il 1943 e il 1945, aveva rappresentato la stragrande maggioranza del Paese.

Non è festa nazionale

Diciamoci la verità: la festa del 25 aprile non è una festa nazionale – come potrebbe essere il 2 giugno, non a caso poco sentito – non è l’occasione per fare incontrare ed abbracciare tutti i connazionali, dando loro la sensazione, almeno un giorno all’anno, di essere parte della stessa comunità politica, di essere tutti “fratelli d’Italia”, al di là dei contrasti e delle guerre civili del passato. Nel Canto dell’amore, Giosuè Carducci – poeta tanto caro a Benedetto Croce – aveva scolpito in pochi versi quale avrebbe dovuto essere il significato di una festa nazionale: ”Salute, o genti umane affaticate! / Nulla trapassa e nulla può morir. / Noi troppo odiammo e sofferimmo.
Amate. / Il mondo è bello e santo è l’avvenir”.

“Alla faccia del governo!”

Una intellettuale militante – già tra i protagonisti del ’68 fiorentino – al mio rilievo che una festa pubblica deve unire e non dividere, mi ha risposto che quella del 25 aprile è una festa che intende “rompere le palle ai fascisti” e che, con i suoi compagni, intonerà Bella ciao! “alla faccia del governo” (naturalmente fascista) e inviterà i suoi concittadini a unirsi nel “patriottismo della Costituzione” che i partiti ora al governo intendono fare a pezzi.

Il fanatismo azionista

Come il festeggiamento della Marcia su Roma (28 ottobre), così quello della Liberazione, come può vedersi, non è una chiamata a raccolta di tutti gli Italiani attorno al tricolore, ma un lungo corteo minaccioso verso coloro che non hanno capito le “benedizioni del nuovo corso”, a cominciare da quei ceti moderati e conservatori ai quali Ferruccio Parri, icona insuperata del fanatismo azionista,
ricordava che l’Italia prefascista non era una democrazia e che la democrazia vera (“progressiva”?) sarebbe venuta “dopo”, una volta fatti i conti col regime e i suoi collaboratori.
Tempo fa, Giovanni De Luna, storico sacerdotale dell’antifascismo, ebbe a scrivere su Repubblica: “il 25 aprile non è mai stata una data monumentale. Non ha mai conosciuto quella dimensione celebrativa, che caratterizza il 14 luglio in Francia o il 4 luglio negli Stati Uniti”.
Già, ma perché è così? Non dipenderà, forse, dal fatto che le feste nazionali esaltano la libertà, l’indipendenza, la ritrovata armonia nazionale, mentre quello italiano è il giorno della vittoria di una parte del Paese sull’altra, nel corso di una sconvolgente guerra civile, dal 1943 al 1945?
Per le vie di New York e di Parigi, si abbracciano tutti: i discendenti dei patriots di Washington e i lealisti fedeli a re Giorgio, i pronipoti di Mirabeau e quelli di Robespierre. Nei nostri riti repubblicani, invece, non si respira aria di concordia e di pacificazione, giacché aleggiano – e si ascoltano nei comizi – quasi esclusivamente slogan che ammoniscono e terrorizzano: “No pasaran!” (peraltro incomprensibile, quest’ultimo, giacché riferito a un movimento politico che purtroppo passò, eccome!, a Madrid come a Santiago, come a Buenos Aires), “SOS Fascisme!”.

25 aprile + 2 giugno = ?

Anni addietro, proposi di abolire il 25 aprile o di riassorbirlo nel 2 giugno, Festa della Repubblica. Resto del parere, ma non consiglierei di farlo a un governo di centro-destra: un provvedimento del genere infiammerebbe le piazze e porterebbe l’Italia davanti a una Corte Internazionale. Con tutti i guai che abbiamo, ci mancherebbe solo questo!
(da “Lettera 150”)
*Professore emerito di Storia delle dottrine politiche ll’Università di Genova
Dino Cofrancesco*

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Tags: 25 apriledino cofrancescoodio

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