«È stato un progressista con tratti reazionari». La definizione è di Marcello Veneziani e ci dice meglio di altri della difficoltà a ricondurre il profilo di Papa Francesco entro categorie conosciute. Tuttavia, la destra ha fatto di tutto per liquidare sbrigativamente Bergoglio come un «marxista», un «massone». Addirittura, un «ateo». Sin da subito. Lo scollamento è purtroppo irreparabile. E non è neanche detto che il tempo servirà a ricucire uno strappo viscerale e allo stesso tempo irrazionale.
Eppure, il retroterra peronista del pontefice argentino – mai confermato, ma neanche negato – era lì sul piatto. Reso evidente da una postura mai benevola con il capitalismo e le sue diseguaglianze e dal suo patriottismo. Per molti è stato più facile dichiararsi leali a Papa Benedetto senza badare, però, che lo stesso Ratzinger si era dimostrato leale, obbediente e in comunione con il suo successore. Un cortocircuito imbarazzante. Per non parlare, poi, della fascinazione che in tanti ancora subiscono circa l’ipotesi che vuole nulla la rinuncia del pontefice bavarese e inesistente l’elezione di Bergoglio. Suvvia, finiamola.
Può sembrare banale ribadire come ognuno abbia tutto il diritto di sentirsi più vicino culturalmente o emotivamente al pastore che ritiene. Ci mancherebbe. Ma c’è un limite a tutto. Il limite del reale.
A scanso di equivoci: è chiaro che le parole di Francesco sui migranti non abbiano intercettato quelle fasce di popolazione che da anni guardano con preoccupazione a un fenomeno che, soprattutto nei primissimi anni del pontificato bergogliano, è esploso notevolmente assieme al numero degli sbarchi. E quindi dei morti in mare (guai a dimenticarlo). Vero pure che, a memoria, non si ricordano parole di Giovanni Paolo II o Ratzinger contro l’accoglienza. Sulla cosiddetta messa in latino, certamente, il giro di vite c’è stato e andrebbe capito perché. Resta pure in piedi la percezione che il canale di comunicazione preferito da Bergoglio sia stato con gli esponenti dell’intellighenzia progressista, da Eugenio Scalfari a Fabio Fazio, passando da Emma Bonino.
Tutto vero, ma non totalmente. Perché, se proprio dobbiamo dirla tutta, sotto il profilo politico, Francesco non ha mai rinunciato al dialogo con Orban e neppure con Vladimir Putin, ricevuto prima della guerra con l’Ucraina ben tre volte in Vaticano (il dopo è tutta un’altra storia). Anche con Giorgia Meloni l’empatia è stata palpabile, e non soltanto durante i giorni della degenza in ospedale: l’invito al G7 pugliese rappresenta, ancora oggi, un capolavoro politico.
Con Trump la questione è profondamente diversa. Sono entrambi americani. Uno del Nord e un del Sud (non è il momento di rispolverare i travagli novecenteschi del Continente scoperto da Colombo). Ma è proprio lì che sta la questione: si ha la sensazione che le sorti della cultura della destra a livello globale siano da ricondurre esclusivamente a Trump. È chiaro che la sua battaglia contro il politicamente corretto e la sinistra woke piaccia ai conservatori che risiedono tra le due sponde dell’Atlantico. E va bene pure che abbia vinto le elezioni contro Kamala Harris e che voglia archiviare la guerra tra russi e ucraini (sarebbe bene che mettesse lo stesso impegno anche nel conflitto tra israeliani e palestinesi).
Ma il suo retroterra è profondamente diverso da quelle delle destre europee, italiana in particolare. La dimensione sociale era quell’ingrediente che dava dignità ideale a un’area che sotto il profilo storico aveva dovuto fare i conti con una sconfitta senza appello. Quello stesso ingrediente che aveva consentito al mondo missino e ai suoi leader sindacali, per brevi tratti di strada certamente, di camminare con socialisti, comunisti e democristiani.
La conversione sulla strada di Francesco non ha più senso, ovviamente. Troppo tardi. Ma una indagine su quale sia l’identità complessiva della destra italiana – rinviata per troppo tempo – andrebbe fatta. Spesso si denuncia che la sinistra italiana, ormai, segua esclusivamente le parole d’ordine partorite Oltreoceano, da politici e pensatori dem. Siamo sicuri che anche dall’altra parte le cose non stiano allo stesso modo? I segnali, in realtà, ci sono tutti e passano anche dai sentimenti verso il titolare della cattedra di Pietro.