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Una pacata confutazione delle distorsioni militanti in “Fascismo e populismo” di Scurati

Si veicola la convinzione che credenze e pratiche radicate di quel periodo siano vive ancora oggi

by Andrea Scarano
23 Aprile 2025
in Corsivi
1
Fascismo e populismo di Antonio Scurati

Corre il rischio di prendere un abbaglio il lettore convinto, in buona fede, di poter accrescere le proprie conoscenze o di reperire quantomeno qualche informazione utile basandosi sugli schematici approfondimenti contenuti in questo pamphlet. 

E’ perfettamente legittimo che Antonio Scurati si prefigga gli obiettivi di iscrivere il suo lavoro al genere impegnativo dell’orazione civile e, dall’alto di una formazione intellettuale, etica e politica che si richiama all’antifascismo novecentesco come patrimonio fondativo della costituzione e della Repubblica, di allontanarsi da pretese di neutralità e distacco, convinto che l’ambito del discorso culturale sia estraneo “alla terzietà del sapere”.

Molto meno comprensibile – e in palese contraddizione rispetto agli intenti dichiarati – è la propensione ad accreditare la veridicità di affermazioni approssimative e parziali dal punto di vista delle scienze sociali, nella cornice tutt’altro che rassicurante di un profluvio di semplificazioni e luoghi comuni che distorcono parecchio realtà proteiformi e complesse. 

L’autore imprime ben presto alla narrazione un’impronta militante e, avvalendosi talvolta di un gergo giornalistico diffuso quanto impreciso (è ricorrente l’accusa all’esecutivo in carica di essere collocato all’estrema destra…), sostiene che la recente ascesa di partiti e movimenti populisti rappresenta un pericolo non per la sopravvivenza, ma per la qualità della democrazia. 

L’analisi muove, in altri termini, dall’eredità del fascismo storico (insuscettibile di mostrarsi nelle medesime forme, a differenza di quanto – questa è la tesi – sostengono molti osservatori) e si articola in comparazione all’attuale scenario politico, preconizzando l’esistenza di una specie di filiazione indiretta, tortuosa e a scorrimento carsico, tra il primo e gli odierni “cattivi di turno”.

Si veicola cioè la convinzione che credenze e pratiche radicate di quel periodo siano vive ancora oggi e, in maniera sorprendente a modesto parere di chi scrive, che il neofascismo manifestatosi nel corso degli ultimi decenni “assume quasi sempre una curvatura neonazista”, per esempio nel passaggio in cui le invettive si concentrano in toto contro gruppi che hanno oltrepassato di poco, sommandoli, l’1% dei consensi nel momento più alto delle proprie fortune elettorali (le politiche del 2018), vale a dire Forza Nuova e Casapound. 

Gli esponenti più in vista di Fratelli d’Italia che hanno recentemente assunto incarichi di governo, d’altronde, sono posti di fronte a un bivio: fare pubblica ammenda per sciogliere definitivamente i nodi che li legano a un passato oscuro oppure intraprendere la strada inevitabile del revisionismo  fazioso. Tertium non datur, è l’ammonimento neanche troppo sottinteso che punta l’indice contro un paese reo di non aver mai voluto fare i conti con il ventennio e di perpetuare all’infinito questa insopportabile colpa. 

Il fascismo delle origini è indagato sotto una lente d’ingrandimento sfocata che poggia sul legame tra Mussolini e gli Arditi, incarnazione criminale e sovrastimata di una violenza fisica sistematica, principale componente per la scalata al potere; viene, tuttavia, omesso che la concezione della violenza alla stregua di “grande levatrice della storia” discende dalle teorizzazioni di George Sorel e del sindacalismo rivoluzionario. Pur in presenza di citazioni al trauma della guerra e all’esigenza di “andare verso il popolo” che ritorna dalle trincee (in assenza totale del metodo e del rigore di sparuti storici ormai fuori moda), vengono oscurati il legame tra il movimento dei fasci, la galassia estremamente variegata del combattentismo nazionale e la capacità d’intercettare il consenso dei ceti medi emergenti, per non parlare dell’”esplosione” del fascismo agrario nelle campagne. I riferimenti al passato socialista del duce, oltretutto, non sono accompagnati dal riconoscimento che la sua creatura si caratterizzò agli esordi come forza d’ispirazione giacobina e di sinistra, distinguendosi per gli attacchi sprezzanti verso la monarchia, il clero e la borghesia.  

Oltre al focus sulla genesi dello squadrismo, grande rilievo è assegnato alla capacità di seduzione dell’uomo-guida della nascente dittatura. Cadendo in fuorvianti toni caricaturali e in pregiudizi  confutati già da Renzo De Felice (tipico è lo stereotipo dell’epiteto di “ignorante” affibbiato a Mussolini, che al contrario aveva un bagaglio di conoscenze sì disordinate e tipiche dell’autodidatta, ma tali da posizionarlo ad un livello culturale medio per il periodo), Scurati trasmette l’impressione di abusare di tale immagine per spiegare la fulminea progressione nei consensi dell’ex emarginato politico.

La sporadica rivisitazione di vicende convulse non restituisce fedelmente il contesto pre-rivoluzionario di una nazione quasi in mano ai socialisti e in balia di una guerra civile strisciante, attraversata e segnata da continui scontri provocati anche dagli anarchici. L’incauto salto logico-temporale dal netto insuccesso dei fascisti al battesimo elettorale fino al conferimento dell’incarico di formare il governo dopo la marcia su Roma, infatti, non consente di sviluppare – a mero titolo di esempio – un pensiero convincente sulle cause del rafforzamento sancito dalle consultazioni del 1921 oppure sulle circostanze che determinarono il patto di pacificazione con i socialisti nell’estate dello stesso anno.

L’introduzione del populismo quale aspetto duraturo della personalità mussoliniana peggiora ulteriormente un quadro di per sé confuso. Se da un lato è fuori discussione che alcuni comportamenti e atteggiamenti richiamati nel libro siano chiaramente riconducibili a quel fenomeno, dall’altro l’autore non sembra del tutto consapevole delle conseguenze di quello che, in parte, egli stesso sottoscrive.

L’accento viene posto su uno stile comunicativo efficace, semplice e retorico, basato su un linguaggio del corpo emotivo, prepotente e in grado di sovrastare qualsiasi ragionamento, che permette di cogliere, grazie anche ai trascorsi del protagonista nelle vesti di direttore de L’Avanti e poi del Popolo d’Italia, gli umori e le preferenze delle masse ponendosi solo in apparenza alla loro guida ma preferendo, in realtà, battere strade da esse già percorse. Si aderisce, così facendo, ad una definizione dell’oggetto in esame meno solida e strutturata rispetto a quella che ne delinea i caratteri di forma mentis e che scova le sue radici nelle rivolte contadine del Medioevo e nelle differenti esperienze dei narodniki russi e del People’s Party statunitense di fine ottocento.

Il risalto attribuito ad alcuni fattori – la prevalenza della tattica sulla strategia, la spiccata abilità nell’approfittare tempestivamente delle opportunità, la scarsa inclinazione ad aderire a principi, fedi e programmi, contraddetta in precedenza dalla citazione di una problematica ideologia fascista – rende allo stesso tempo inspiegabile che il duce sia dipinto come l’archetipo di ogni successivo leader populista, quasi a lasciar intendere una sua primogenitura di quella famiglia politica.

Se è debole l’ostentata sicurezza che accompagna l’individuazione di alcune presunte regole del suo agire (innalzate addirittura a leggi), l’esposizione di elementi in parte veri, ovverosia la forte accentuazione di tipo personalistico della proposta politica e l’equazione tra Mussolini, il popolo e viceversa, non tiene conto del fatto che nella visione dell’ex maestro elementare quella “massa informe e livellatrice”, di cui diffidava anche istintivamente, viene subordinata ai ben più pregnanti concetti di Stato e di nazione, eliminati automaticamente dalla trattazione a seguito della discutibile scelta di non soffermarsi sull’epoca del consenso al regime. 

Appare, altresì, azzardato il parallelismo tra l’accesa polemica anti-parlamentare orchestrata dal fascismo-movimento e gli odierni populismi di destra e di sinistra. E’ verosimile che, pure in tal senso, le argomentazioni addotte muovano nell’unilaterale direzione del discredito e dello sberleffo e che gli ormai numerosi studi disponibili in materia siano trascurati a piè pari: basti citare le analisi che nell’ambito accademico hanno posto il tema della centralità delle rivendicazioni di “domanda politica” da parte dei secondi e che ne hanno, talvolta, riepilogato i punti salienti utilizzando le immagini “dello specchio e dell’ombra” della democrazia.     

Un registro manicheo e stucchevole accentra i fili del discorso nella verità sommaria del capo immerso in un modus agendi esclusivamente proiettato verso la politica della paura da commutare automaticamente in odio, incline a “una brutale semplificazione della complessità della vita moderna” (l’istantanea di Mussolini folgorato dal mito della produzione evidentemente non è nota…) e a risolvere qualsiasi problematica con gli strumenti della dinamica del nemico, identificato nel prototipo del socialista straniero e invasore.

L’improbabile accostamento di quest’ultimo frame a quello della lotta razzista e senza quartiere contro gli immigrati alimentata oggi dai cosiddetti sovranisti stimola qualche riflessione sulle differenze fra il fascismo e il populismo: al tirar delle somme i risultati sono generici e deludenti e possono essere riassunti nell’inclinazione del secondo ad evitare l’eliminazione fisica dell’avversario e a non dichiarare apertamente la preferibilità dell’autoritarismo sulla democrazia.

E’ il preludio a conclusioni apparentemente promettenti, che vertono su un bilancio autobiografico e introspettivo di una formazione culturale, abbozzano interessanti incursioni sulle caratteristiche del clima di edonistico disimpegno in auge negli anni del riflusso, dell’indifferenza individualistica ai destini generali e di una ripulsa crescente nei confronti della politica a ridosso della caduta del muro di Berlino. 

E’ significativo però che osservazioni condivisibili, quelle sulla globalizzazione “cambio d’epoca gaio e menzognero” e sull’inganno generazionale dell’umanità più agiata, longeva e protetta di tutti i tempi, siano sopraffatte tanto da una sorta di chiamata alle armi contro i mulini a vento, nell’intento di riappropriarsi dell’antifascismo dei padri e dei nonni, di rinnovarlo innalzando cordoni sanitari contro i nemici e di estenderlo sulla base di un generico orientamento politico, quanto da una postilla inquietante che collega la nuova crociata alla difesa dell’unica forma di democrazia ritenuta possibile, quella di tradizione europea, occidentale, liberale, piena e compiuta. 

In barba ai tanto sbandierati principi della libertà e del pluralismo, la questione è liquidata nero su bianco in modo acritico, sbrigativo ed eloquente: non ne esiste un’altra!

Antonio Scurati, Fascismo e populismo. Mussolini oggi, Bompiani 2023, pagg. 93 euro 12

 

Andrea Scarano

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Tags: andrea scaranoAntonio scuratifascismo e populismo

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Comments 1

  1. Sandro says:
    3 settimane ago

    Vale la pena soffermarsi sull’ignoranza enciclopedica di Scurati?

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