Negli ultimi anni, nella società liquida, si è avuta una vastissima produzione letteraria e filosofica antimoderna. In tale congerie intellettuale, è inscritto il libro di un giovane e coraggioso studioso siciliano, Alessandro Castro. Si tratta di una silloge di aforismi, Mille proposizioni inattuali. Scritti brevi contro il mondo moderno, pubblicato dall’autore tramite la piattaforma Youcanprint (per ordini: info@youcanprint.it, pp. 149, euro 15,00). Fin dall’incipit di queste pagine, Castro esplicita l’obiettivo che si è prefisso nel pubblicare questo testo: «organizzare una dura e decisa risposta alla confusione che pervade i tempi presenti» (p. 9). Gli aforismi sono raccolti in tredici capitoli e in una Conclusione. Il giovane studioso mostra di aver fatto propri gli assunti del “tradizionalismo integrale” del Novecento, corrente di pensiero che ha prodotto una critica radicale del moderno. Muove, infatti, dal presupposto che esistano due forze sovrastoriche e sovraindividuali, la prima, anagogica e spirituale, la seconda katagogica e materiale: «L’edificio da abbattere è la modernità; da edificare è quello della speranza uranica e perenne, incarnato dalla Tradizione» (p. 11). L’intero libro è, di fatto, una chiosa, una chiarificazione di tale affermazione assiomatica.
Preliminarmente, il giovane siciliano afferma che: «Come fondamento ontologico e veritativo della Tradizione vi è l’Uno» (pp. 12-13) e che l’epoca post-moderna: «non è altro che una fase avanzata di quella moderna; la dicotomia Tradizione/modernità, di fronte a essa, rimane quindi inalterata» (p. 13). La Tradizione può, in tale prospettiva, venire momentaneamente obliata, ma non può essere definitivamente tacitata. La modernità, del resto, è surrogato parodistico ed invertito della Tradizione. Nell’attuale contingenza storica, essa ha trovato compiuta espressione negli pseudo valori della Nuova Cartagine, incarnata dalla civilizzazione angloamericana, utilitaristica e globalizzante. Sua quant’essenza è da rilevarsi non nel caos che la costituisce e che esprime, sic et simpliciter, mancanza d’ordine: «ma in un ordine che è totalmente rovesciato» (p. 20), incapace di riconoscere ciò che davvero distingue gli uomini, insensibile ai valori dell’areté e della noesis. In tale contesto, risulta dominante una razionalità priva di Lógos, statistica, quantitativa ed algoritmica: «Denaro, società dello spettacolo, feticismo delle merci: i tre virtuosissimi capisaldi della modernità» (pp. 24-25). Essi rendono la modernità simile a una bolla di sapone che potrebbe dissolversi con incredibile facilità.
L’intero libro è un appello accorato alla: «Rivolta metafisica contro il mondo moderno» (p. 37), atta a mettere in scacco l’egemonia dell’Io centrata su orgoglio, superbia prometeica e invidia: «Nel momento […] in cui si riesce a distaccarsi dall’Io caduco e manchevole si crea quel vuoto che non può che essere colmato dalla spiritualità primordiale» (p. 43). Essa è fondata sul mètron, la giusta misura. Molto interessante e prossimo alla nostra sensibilità è la ripresa, da parte di Castro, dell’elogio della giovinezza di Leopardi: «Non è spento nei giovani l’ardore che li porta a procacciarsi una vita e a sdegnare la nullità e la monotonia» (p. 47). Tale ardore ha permesso, di generazione in generazione, il perpetuarsi della Tradizione. La giovinezza spirituale è connotato interiore dei “clandestini”, dei “resistenti” al potere pervasivo e subdolo della modernità liquida. Leggiamo, poco dopo: «L’oppositore più radicale si identifica nella figura di un anti-Prometeo come il restauratore dell’unico ordine naturale possibile, quello in cui la natura fisica rimane sottomessa» (p. 55). L’aspetto per cui dissentiamo dalle posizioni di Castro sta tutto qui. Se la Tradizione è l’Uno, qualsivoglia posizione dualista gli è estranea. A parere di chi scrive, tra i “tradizionalisti” del Novecento, solo Evola, nelle sue opere teoretiche scritte prima dell’incontro con Guénon, comprese che nel mondo tradizionale essenza ed esistenza, corpo e spirito, essere e nulla si dicevano in uno, in un rapporto tragico, in quanto come intese Hölderlin, mai chiuso in un terzo dialettico ma sempre in fieri. L’Evola idealista magico ebbe chiara contezza che parlare di sovranatura o sovrastoria, implicava abbracciare categorie statuite dal moderno. La visione tradizionale della storia non può essere ciclica, ma sferica (stante la lezione in tema di Nietzsche, Heidegger, Locchi) in quanto il principio, l’origine è dynamis, libertà-potenza, mai normabile negli enti di natura e negli eventi della storia. La visione ciclica altro non è che una versione invertita di quella lineare, nella quale il tempo ha un inizio e una conclusione. Si tratta di una concezione chiusa, non aperta della storia.
Castro ci pare aderire a un’impostazione rigidamente “tradizionalista”, tutta giocata sulla contrapposizione di Tradizione e modernità. Tale visione, finisce per sposare il male che vorrebbe combattere, vale a dire l’atteggiamento neo-gnostico, centrato sulla volontà di emendare, correggere il mondo, in un pathos salvifico ed escatologico: «Il sistema mondo angloamericano, col suo seguito di falsi idoli, non è altro che il Regno del Male Assoluto» (p. 93). Non casualmente, nei pensieri di questo giovane autore, aleggia (non citato) il pensiero di Dugin. È, forse, per la stessa ragione, che Castro, dopo aver criticato aspramente Bergoglio, pare cogliere nel cattolicesimo tradizionalista una possibile via di uscita dallo stato presente delle cose. Chi scrive è lontano da qualsivoglia posizione di teologia della storia o di filosofia della storia e guarda con interesse, con Karl Löwith, al recupero della physis ellenica e del tragico. Ciò implica il rigetto del determinismo consolatorio, sia di segno progressivo che reazionario.
Nonostante queste differenze di prospettiva, riteniamo che il volume di Castro possa svolgere il ruolo di sasso lanciato nello stagno. L’autore padroneggia abilmente la lingua: il suo testo è godibilissima lettura. Il giovane studioso, per le idee che diffonde e difende, non avrà accoglienza nel mondo culturale contemporaneo. È solo, come molti della sua generazione, in un mondo ostile che non conosce più, non dico Maestri, ma neppure guide.
Probabilmente mi considererà, come scrive nella Premessa, “uno degli idioti” che si sono fatti avanti per criticare il suo libro. Non è così, non sono scandalizzato dalle sue idee, né mi scandalizza l’epiteto “idiota”. Solo gli “idioti”, i “folli” i “ribelli”e gli “eretici”, coloro che mettono in discussione il “senso comune”, perfino quello “tradizionalista” , potranno difenderci dal domino del Medesimo nel quale viviamo.