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La stanza dell’ospite. Fascismo: verità nascoste, falsità manifeste

Rimossa l'opera dello storico Renzo De Felice, da ormai 80 anni soffiano i venti della guerra civile

by Dino Cofrancesco*
18 Aprile 2025
in Corsivi
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Futurismo

Nelle celebrazioni del 25 aprile si continua a vedere nel fascismo un regime estraneo al mondo moderno, una mela marcia di un paese di antica civiltà come l’Italia, una banda di malfattori di cui Mussolini fu il capo (per citare il titolo di un discutibile pamphlet di Aldo Cazzullo) e così via.

In realtà, le cose non stanno così: al fascismo aderì la parte migliore del Paese (non tutta, l’altra, minoritaria, rimase coerentemente antifascista): dai ceti medi emergenti – di cui parlò Renzo De Felice nella celebre Intervista sul fascismo con Michael Ledeen (Laterza, 1975), al mondo dell’arte delle lettere, delle scienze – cfr. il Manifesto fascista di Giovanni Gentile.

Rosario Romeo vs. Giovanni Giolitti

A motivare uomini, che erano autentici patrioti anche se non rifuggivano certo dalla violenza contro gli oppositori politici, erano l’insofferenza per una classe politica che, nel primo dopoguerra, non aveva saputo imporre la legge e l’ordine e il timore, non del tutto ingiustificato, dell’eversione rossa. (Rosario Romeo, il maggiore storico italiano della seconda metà del Novecento, non riuscì mai a perdonare a Giovanni Giolitti il mancato uso delle maniere forti contro gli eversori rossi e neri).

I Parlamenti, con le loro “clases discutidoras” (come le definiva nel 1851 il grande tradizionalista spagnolo Juan Donoso Cortés) apparivano loro residui di un passato medievale, da chiudere al più presto, dando le redini del governo a combattenti, tecnici, borghesia imprenditoriale, maestranze operaie inquadrate in sindacati nazionali responsabili, a quanti avevano a cuore le sorti del paese e odiavano la politique politicienne.

Come scriveva Giovanni Gentile, in un articolo Il liberalismo di B. Croce (ora in Id., Opere complete di Giovanni Gentile. XLV Politica e cultura, 2 voll., Le Lettere, vol. I, 1990), ironizzando su quanti si facevano “scrupolo di anteporre la patria all’idolo della libertà” :“Silvio Spaventa e i deputati del 15 maggio, violatori della Costituzione, furono rivoluzionari, Ricasoli e Farini, senza la cui magnanima risolutezza Cavour sarebbe fallito, furono dittatori, come Garibaldi; e della libertà costituzionale si ricordarono soltanto a tempo e luogo. E Cavour, liberalissimo, a tempo e luogo, protestò anche lui, a proposito di libertà di stampa, contro i grandi principii, che rovinarono sempre le nazioni: e governò sempre da padrone di quella Camera a cui s’inchinava”.

Ora e sempre 25 aprile

Gli anti-parlamentari videro nel fascismo l’occasione per procedere a riforme di vasto raggio, in linea col processo di modernizzazione in atto in tutta l’area euro-atlantica. E le loro attese non andarono del tutto deluse, se si pensa alla politica delle bonifiche, al Welfare State affidato a grandi enti parastatali, alla messa in sicurezza del territorio, alle grandi realizzazioni urbanistiche (Roma in primis), alle riforme scolastiche, all’Iri, che cambiarono il volto della nazione e sopravvissero al 25 aprile.

Riccard Lombardi, memore/immemore

Un deciso fautore delle nazionalizzazioni come il socialista Riccardo Lombardi ebbe a dichiarare che l’Italia per fortuna poteva disporre di una sfera pubblica che rappresentava il 60% dell’economia nazionale e che questo le avrebbe consentito un più agevole passaggio al socialismo. Dimenticò di dire due cose:1) che quella ‘fortuna’ si doveva proprio al regime fascista; 2) che in un’economia liberale di mercato era alquanto problematico che potesse rappresentare una fortuna.

Sennonché una dittatura resta pur sempre una dittatura e solo sui tempi lunghi, si diventa consapevoli che la peggiore delle democrazie è preferibile alla migliore delle dittature, sempre che si viva in una società civile segnata dall’Umanesimo, dall’Illuminismo, dalla filosofia dello Stato di diritto. Nei primi anni i treni arrivano in orario, le amministrazioni pubbliche sono più efficienti, ci si preoccupa di più dei ceti meno abbienti e della sanità pubblica. Un apparato di potere, che abbia abolito il pluralismo politico, però, alla lunga non può legittimarsi con politiche che ricalchino quelle delle democrazie liberali più avanzate: il fascismo non poteva essere una versione all’italiana del New Deal di Franklin Delano Roosevelt (un presidente molto interessato alla politica economica di Mussolini). Doveva essere, per non perdere il potere una volta rimessa la ‘casa in ordine’, qualcosa di più e di diverso. Di qui la sua  hybris – “l’orgogliosa tracotanza che porta l’uomo a presumere della propria potenza e fortuna” al centro delle tragedie di Eschilo – e l’ambizione di costruire la Terza Roma: non quella di Giuseppe Mazzini, fondata sul primato dello spirito, ma quella degli Scipioni e dei Cesari, ”donna di province”, signora del Mediterraneo.

Fonte inquinata?

Ma di qui anche la corsa verso un totalitarismo sempre più permeato di spiriti antiborghesi e pagani, pur se incapace di radicarsi in un paese in cui Monarchia, Esercito e Chiesa erano rimasti contropoteri indeboliti, ma inattaccabili. La guerra d’Etiopia, la guerra di Spagna, l’Asse Roma-Berlino, le infami leggi razziali, furono il risultato di questa hybris, sempre più lontana dalle idealità risorgimentali che avevano animato i “nuovi ceti emergenti”.

Ne dà un ampio resoconto il saggio The Tainted Source. Origins of the Undemocratic European Ideas (Warner Books, 1998) di John Laughland. Quella “fonte inquinata” – rileviamo per inciso – avrebbe portato la nuova destra, erede dell,a Rsi, a non riconoscersi più nel pensiero di Giovanni Gentile e Gioacchino Volpe, Maestri osannati a parole ma sempre meno letti – bensì negli ideologi imperialisti (come Julius Evola), che ritenevano ormai superato il modello dello Stato nazionale, troppo legato agli ideali del 1789 e all’odiato illuminismo.

 Dalla retorica resistenziale, che vede nel fascismo la negazione dello spirito moderno e il trionfo del nazionalismo tribale (laddove il fascismo fu, agli inizi, un fenomeno del tutto moderno e, dopo la sua ingloriosa fine, la negazione dello Stato nazionale) avrebbe potuto guarirci Renzo De Felice – al quale il suo erede spirituale, Francesco Perfetti, ha dedicato una ponderosa monografia, Per una storia senza pregiudizi. Il realismo storico di Renzo De Felice, Ed. Aragno – coi suoi numerosi studi sul fascismo visto nella sua epoca.

Ora e sempre odio

Tali studi non sono soltanto—come è stato scritto da autorevoli recensori -un contributo a una storiografia meno ideologica e più critica del ventennio; sono qualcosa di più: un capitolo fondamentale della storia della cultura politica italiana del nostro tempo, giacché, indirettamente, ne mostrano i ritardi e le anomalie, a cominciare dall’incapacità di prendere sul serio il pluralismo, riconoscendo che i valori, gli interessi, i bisogni che costellano il mondo umano sono molteplici e che demonizzare, senza comprendere, porta solo alla perpetuazione della guerra civile, ai “no pasaran”, agli “SOS Fascisme!”, ai cortei minacciosi, alle commemorazioni intese ad approfondire il solco ideologico tra i connazionali e non a avvicinarli, come accade nella grandi feste patriottiche del 4 luglio in America e del 14 luglio in Francia.

Sennonché l’opera di De Felice è stata quasi del tutto rimossa e la sua alta lezione di liberalismo è stata immiserita e ridotta al banale apprezzamento della sua – pur indubbia – obiettività storiografica.

*Paradoxa-Forum, aprile 2025
Dino Cofrancesco*

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Tags: dino cofrancescofascismorenzo de felice

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