
Quanto stiamo assistendo a Gaza, benché non mostrato/amplificato dai media a differenza di altri scenari, è davvero qualcosa che merita una riflessione. La dura reazione israeliana continua a scatenarsi in maniera costante colpendo con una violenza che, se è esagerato quanto inopportuno paragonarla a una pulizia etnica, certamente potrebbe configurare stragi di massa fra la popolazione civile. Una reazione emotiva di sdegno non può bastare da sola a spiegare né a fornire frettolose soluzioni a quanto da troppi decenni tragicamente succede in quelle terre.
Terra Santa o terra di odio
Epicentro spirituale delle tre principali religioni monoteiste, tanto da essere chiamata Terra Santa dal mondo cristiano, in realtà la Palestina è terra di odio radicale e viscerale. Tutto nasce e implode abbastanza recentemente, ovvero da quando gli inglesi abbandonano la loro provincia coloniale affidando nel 1947 all’Onu una proposta per il futuro delle popolazioni autoctone. La proposta arrivò con la celebre risoluzione in cui si divide la Palestina in due stati indipendenti, uno ebraico, l’altro arabo, con Gerusalemme sotto amministrazione internazionale.
Israele segue il corso della risoluzione e viene fondato come Stato secondo i confini assegnati mentre i paesi arabi (in particolare Egitto, Giordania, Siria e Libano) a nome dei palestinesi non accettano questo corso e iniziano un conflitto contro Israele. Guerra che vince Israele e che diventa, probabilmente, la causa principale di una mancata stabilizzazione della regione perché di fatto uno Stato palestinese ad oggi ancora non si è mai creato e la sua nascita diventa sempre più difficile. Nel corso degli anni altri conflitti si sono accesi, i cui principali sono la guerra dei 6 giorni nel 1967, la guerra nel 1973 detta dello Yom Kippur e quella del 1979 dove però inizia un percorso di distensione e di riconoscimento con i paesi arabi che passa dagli accordi di Oslo negli anni ’90 ma che ancora è lungo da essere interamente percorso.
Causa strumentalizzata
La storia, seppur solo accennata, ci fa capire già che la causa palestinese da sempre è stata strumentalizzata intanto dai paesi arabi stessi, pubblicamente pronti al sostegno per mantenere accondiscendete la propria opinione pubblica ma di fatto mai determinanti, anzi tutt’altro finanche ammiccanti con lo Stato ebraico. Basti pensare al mancato riconoscimento dello Stato palestinese nel 1948 e ora agli “Accordi di Abramo”, percorso iniziato nel 2020, che ancora continua a coinvolgere altri Paesi e che consiste nella volontà di mettersi dentro l’ombrello protettivo di Israele in qualità di potenza militare (e nucleare) regionale in seguito alla “ritirata” statunitense. E non solo, anche i turchi che non sono arabi, e gli iraniani che non sono nemmeno sunniti, cercano di intestarsi la causa palestinese sotto la bandiera del panislamismo ma che in realtà rappresenta la volontà di emergere come potenza egemone della regione in contrapposizione con il mondo arabo. La Palestina, quindi, non come centro di una guerra santa, immagine comunque usata come distrazione ideologica, ma la Palestina come epicentro di molteplici interessi geopolitici dove a farne le maggiori spese sono i civili sempre più stremati.
Ultimo elemento da considerare ma non meno importante è il ruolo di Hamas, un’organizzazione considerata dall’Ue terroristica, propaggine della Fratellanza Musulmana, altra organizzazione apertamente e dichiaratamente nemica di tutto quello che nell’immaginario può rappresentare l’Occidente (quindi anche noi in quanto europei e in quanto italiani) e che usa la religione come strumento politico per islamizzare le società. Benché Hamas rappresenti l’amministrazione di Gaza, non bisogna confonderla con la popolazione civile né credere che Hamas sia realmente rappresentativa della società palestinese. Distinzioni non sempre chiare né marcate ma assolutamente necessarie se si vuole cominciare a individuare realmente cause e soluzioni in un conflitto sempre più disumano, non solo per le bombe che cadono ma soprattutto per gli interessi che muove.
È un enorme errore far risalire la ‘questione’ al 1947. La ‘patria giocattolo’ voluta da Herzl e dai sionisti a fine ‘800, finanziata dai Rotzshild e grandi banchieri ebrei dell’Europa occidental, ne fu la causa. Nel quadro della decadenza dell’Impero Ottomano e dei giacimenti di petrolio, che affilava gli appetiti di inglesi ed americani. Vennero utilizzati nella ‘conquista’ soprattutto askenaziti russi, che assai probabilmente discendevano da convertiti, neppure da ‘ebrei storici’ delle XII Tribù. Per questo gli ebrei di varie comunità italiane, a partire da Torino, furono essenzialmente antisionisti. Fortemente antisionisti. Abbiamo avuto tre presidenti del Consiglio (Fortis, Luzzatto, Sonnino), il sindaco di Roma Nathan, dominiamo la massoneria e buona parte della finanza, abbiamo grandi proprietà im mobiliari, siamo presenti in tutti i gangli dello Stato, Forze Armate comprese, non solo università, ma perchè andare a cercare conflitti dove stavamo XIX secoli fa, prima della distruzione del Tempio, e dove gli ebrei risiedono in pace da secoli e secoli? Poi venne la sciagurata Dichiarazione Balfour del 1917 sul ‘focolare nazionale ebraico’ quando la Gran Bretagna aveva urgente bisogno di soldi per non essere schiaccata dalla Germania imperiale… Poi vennero tante altre cose, la Shoa, le Leggi Razziali, lo sappiamo bene e tutti, ma nessuna giustificava la fondazione dello Stato di Israele, ottenuta con il terrorismo, essenzialmente, sulla pelle dei palestinesi….