
È tornata a circolare negli ultimi giorni un’idea già esplorata nei primi mesi della guerra in Ucraina: congelare il conflitto senza risolverlo, sul modello della Corea. A rilanciarla è stato il generale Keith Kellogg, inviato speciale della Casa Bianca per l’Ucraina, che in una recente intervista a The Times ha proposto di dividere il Paese in “zone di influenza”, ricalcando lo schema utilizzato per Berlino nel 1945.
Il piano prevede l’istituzione di tre aree: i territori attualmente occupati resterebbero sotto controllo russo, l’Ucraina occidentale (con Kiev, Leopoli e Odessa) verrebbe affidata alla protezione di forze europee oltre che ucraine, mentre la zona ad est del fiume Dnipro sarebbe presidiata esclusivamente dall’esercito di Kiev. Una zona smilitarizzata farebbe da cuscinetto tra la parte “ucraina” e quella “russa”. Nessuna pace, dunque, ma una sorta di armistizio, una tregua armata che fermi i combattimenti e riduca i rischi di escalation.
Il progetto, al momento, sembra avere scarso peso politico: la carica di Kellogg è solo formale e i negoziati sono oggi in mano ad altri attori, in particolare all’inviato di Trump per il Medio Oriente Witkoff. Tuttavia, la proposta solleva interrogativi importanti, perché fotografa un’impasse sempre più evidente, mentre Kiev rischia di trovarsi senza vere alternative.
La tanto discussa “finlandizzazione”, ovvero una neutralità obbligata per Kiev sul modello della Finlandia del dopoguerra, pur indicata dal Presidente francese Macron prima del 24 febbraio 2022 e da Henry Kissinger fin dal 2014 come possibile soluzione della questione ucraina, è stata abbandonata – anche dietro “consiglio” dell’Amministrazione Biden e di alcuni governi europei – fin dal fallimento delle trattative di Istanbul nella primavera 2022. E oggi l’unica strada percorribile sembra quella di una tregua strutturata, simile a quella tra le due Coree: niente pace formale, ma nessuna guerra attiva.
Un “piano Kellogg” corretto non risolverebbe le cause profonde del conflitto, né inciderebbe sulla situazione giuridica dei territori occupati. Ma potrebbe fermare le armi, aiutare ad avviare la ricostruzione e, forse, riaprire in futuro un dialogo oggi impensabile. Certo, resterebbero enormi rischi, a partire da quelli causati dalla presenza di truppe occidentali in Ucraina. Ma quali sono le alternative per Kiev, soprattutto in presenza di un sostegno americano sempre più incerto e di un’Europa che continua a perseguire politiche sostanzialmente autolesionistiche, in attesa di un chimerico “riarmo”?
Il progetto Kellogg non è certamente perfetto, ma le motivazioni che l’hanno prodotto sembrano ineludibili e, declinate in maniera diplomaticamente e militarmente più appropriata, potrebbero forse evitare la continuazione di una guerra la cui principale vittima, nonostante le dichiarazioni bellicose del suo Presidente e di diversi leader europei, è proprio l’Ucraina.
Mandare truppe europee in Ucraina sarebbe a mio modesto avviso una follia. Ci siamo dimenticati l’odissea dell’ARMIR, dell’Armata italiana in Ucraina durante la WWII, le ‘Centomila gavette di ghiaccio’ ecc.? E poi mandiamo lì i nostri bamboccioni, cresciuti a indulgenze infinite, tutto spinello e voglia di fare un .axxo?
Non credo al progetto Kellog peraltro smentito o corretto dallo stesso. La Russia mai accetterebbe truppe europee sul suolo ucraino anche in altre zone, semmai truppe “neutrali”. La zona cuscinetto dovrebbe controllare km e km di confine oltre al fatto di qualche eventuale provocazione dell’ uno o dell’ altra.