
Pierre Drieu La Rochelle e Andrè Malraux, una sera di maggio del 1943, si ritrovarono seduti allo stesso tavolo in un ristorante vicino a Les Invalides. Un incontro di cui Malraux non riportò alcunché, sigillandolo probabilmente come una questione privata, un cumulo di segreti destinati all’oblio. Drieu, nel suo Diario pubblicato postumo nel 1992, accenna all’episodio con la stanca irritazione di chi riconosce la scelta sbagliata e la fredda rassegnazione di chi si attende la punizione. Forse, in quell’occasione, i due uomini non si scambiarono nulla di memorabile. Si narra che Joyce e Proust, nel loro unico incontro, conversarono sul confit d’oie. Tuttavia, Joyce e Proust erano quasi estranei, frastornati dall’attualità di un’epoca, gli anni Venti, che non esigeva commenti eclatanti. Ben diverso era lo scenario della primavera del 1943, il quale è ben risaputo. La Germania iniziava a incassare sconfitte, sia in Russia sia in Africa, e la vittoria alleata non sembrava più essere in dubbio. Restava l’incognita del quando e, soprattutto, del prezzo della pace, e del ruolo che la Francia avrebbe giocato. Drieu e Malraux non si vedevano da due anni, legati ormai a destini opposti. Nutrivano il sospetto di non incrociarsi più prima della fine del conflitto, o forse – chi poteva dirlo? – di ritrovarsi con la pistola puntata. Il tempo che si restringe acuisce la franchezza, soprattutto nel teatro interiore che ognuno recita per sé.
La genesi dell’opera “L’alerte”

Quel faccia a faccia, imposto dal caso di un allarme antiaereo (L’alerte) a Malraux e Drieu, era intriso di troppe parole non dette per risolversi in un silenzio definitivo. Quindici anni di scambi serrati tra questi due fari del periodo prebellico, araldi della stessa imminente tragedia, scrittori nell’anima e amici un tempo, avevano tessuto una fitta trama di opinioni sull’esistenza, sulla storia e sul ruolo da interpretare al loro interno. Come non cogliere quell’opportunità per misurarsi ancora una volta nella loro disciplina prediletta, ovvero la schermaglia di idee generali e formule lapidarie? Un esercizio di tale maestria che persino i più acuti facevano fatica a seguirli: «Non ci capisco niente», ironizzava Gide, «e credo nemmeno loro!».
Sull’amore, le donne, la guerra, la morte, l’arte, si sono espressi con tale intensità nelle loro opere che accostare le loro citazioni le fa risuonare come repliche di un dialogo ininterrotto, con nuove battute che sembrano quasi autentiche. È probabile che durante quella cena Malraux chiese a Drieu di battezzare il figlio appena nato. Ma fu soprattutto in quella sera che il futuro colonnello Berger della brigata Alsazia-Lorena poté offrire al direttore della Nouvelle Revue Française, sotto l’egida tedesca, una via di fuga all’estero o l’ingresso nella resistenza clandestina, anche a costo di cadere sotto i proiettili del suo stesso schieramento, invece di affondare con i vinti del domani o anelare follemente al trionfo di un comunismo anch’esso, a suo modo, segnato. Drieu avrebbe ceduto alla tentazione di dare un nuovo significato a una morte già annunciata? Malraux avanzava verso un coraggio glorioso, Drieu verso un coraggio suicida. Uno mirava ai ruoli apicali, al Pantheon di Victor Hugo; l’altro ai ruoli marginali e al gas che si sprigiona furtivo in cucina. Entrambi avrebbero concluso la loro corsa con l’illusione di libertà che solo i destini fuori dal comune sanno concedere. Due grandi contemporanei si congedavano per sempre, nel cuore della più grande tragedia del secolo.

Parla l’autore
«È prerogativa della scena immaginare» – afferma Bertrand Poirot-Delpech – «senza la pretesa di “farli parlare”, ma con la fedeltà allo spirito delle loro parole, quali addii suggellarono quel confronto tra due concezioni della vita, a livello di storia, di umanità, di amicizia.» E proprio Poirot-Delpech e il suo “L’alerte” raccontano di questo incontro portandolo a teatro, con due attori del calibro di Jean-Baptiste Malartre nel ruolo di Drieu e Michel Favory in quello di André. Da alcuni scatti ritrovati recentemente dal qui scrivente, i quali risalgono alla prima messa in scena del terzetto (v’è anche uno strano personaggio, ovvero “il padre senza biglietto”) avvenuta l’undici marzo del 1997 al Théâtre du Vieux Colombier, a pochi passi da Saint-Sulpice. Ciò che più colpisce – e colpirà nel profondo i nostri lettori – è l’incredibile somiglianza di Malartre a Drieu. Le pose da dandy mai sopito, lo sguardo potentissimo nonostante gli anni difficili, un corpo ancora marmoreo per l’amore con Christiane Renault.
Avviso editoriale

“L’alerte”, che sarà presto tradotto e pubblicato in italiano, è un modo per divenire commensali di questi due scrittori immensi, un tentativo ben riuscito di rendere partecipi i loro lettori a questo convitato d’inchiostro nero e vino rosso. Tempo fa abbiamo scritto del fantasma di Drieu e del suo bussare alla nostra porta, quest’oggi lo rivediamo, come se non fosse mai andato via, come se quel 15 marzo 1945 non fosse accaduto alcunché. Un plauso, dunque, alla bravura di Jean-Baptiste Malartre, capace di provocarci più di un brivido lungo la schiena e più di una lacrima. Grazie a lui, abbiamo percepito la presenza di un amico che ci sembrava ormai “troppo lontano”.
