«Dietro a una domanda, a un sorriso, a una teoria, a una porta in fondo al corridoio. Oppure dentro un armadio o in una soffitta o sotto le coperte. Oppure nascoste al sicuro, protette da un segreto».
Prefazione di Gian Paolo Serino
Carlo Tortarolo ogni volta mi stupisce. Perché, come potrete leggere in questi racconti – schegge impazzite di realismo e razionalità eppur libertarie – appartiene ai nostri tempi, ad esempio per ritmo e modernità di scrittura, ma il suo respiro letterario ha il rigore e l’ironia di quando la letteratura era ancora Letteratura. Prima di quella sperimentale e autoproclamatasi come civile degli anni Settanta, quando il genio di Ennio Flaiano con un aforisma raccontava un mondo: «la situazione in Italia è grave ma non seria».
Carlo Tortarolo fa parte non dei Pasolini o dei Bassani ma di Leo Longanesi, Ennio Flaiano, Gesualdo Bufalino ma che hanno incontrato sul ring della vita Luciano Bianciardi o Giancarlo Fusco. Un incontro-scontro tra due scuole non solo di arte ma di vita. Carlo Tortarolo lo anticipa già nel titolo: Lo scultore di uragani che è geniale perché in tre parole sintetizza ciò che dovremmo essere e spesso non siamo.
Immaginate: Un uomo, solo, alza il bavero, stacca gli occhi da terra e aspetta arrivare l’uragano.
Gli altri sono scappati.
Lui aspetta.
Ed è la miglior metafora di essere un vero scrittore. Quello che manca oggi.
Il coraggio della letteratura.
Perché se rimani in piedi l’uragano si dimostra vincibile. Poi ce ne sarà un altro e un altro ancora, come in una “terra desolata” di Elliot, come lo scrivere sull’acqua di Yeats.
Questi racconti hanno questo che li rende unici. Scolpire l’aria.
A noi lettori la scelta di sentire che Il deserto dei tartari sarà anche diventato Matrix ma non è mai scomparso. Tortarolo è tra i pochi che contribuisce ad abbatterlo. E lontano dal fragore di miliardi di parole al lettore Tortarolo scolpisce l’aria di parole, come se fossero le ultime, come se fossero quelle che non vuole consegnare ai posteri ma ai postumi. I postumi di noi inebetiti da talmente tante idee da non averne più una. Di cosa significa essere (umani). Come quando raramente uno scrittore ci dà la possibilità di ascoltare un petalo di rosa cadere in un Grand Canyon.
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