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Raymond Radiguet e il “diavolo in corpo”

Desta un gran clangore sia per l’erotismo che per il disfattismo patriottico: scandalizza. Raymond ha un fastoso successo aiutato da Jean Cocteau innamoratissimo di lui e suo pigmalione

by Gianfranco Andorno 
26 Aprile 2025
in Cultura
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Raymond Radiguet

A quattordici anni Raymond Radiguet conosce Alice Saunier, una giovane maestra che gli darà lezioni private. Oppure è una vicina di casa, o la babysitter dei fratellini.  Una identità incerta ma presente. Un giorno sorprende il padre in intimità con lei se ne innamora. E riversa questa presunta relazione in un libro, Il Diavolo in corpo, dove Alice diventa Marthe che come lei ha un fidanzato militare e lontano.

Il protagonista racconta in prima persona, non indica mai il suo nome. Per pudore o per offrire al lettore la parte? Che fare? Ovviamo ricorrendo al nome nel film: François. Il Paese, la Francia, ribolle per l’entrata nella Grande Guerra. Passano i cortei di soldati, scheletri che marciano festosi verso la fossa. Le donne buttano loro fiori e vino. Le aste delle bandiere alberi di navi che colano a picco, avrebbero scritto.  Vero! Misteriosa anche la locazione: F. sulla riva della Marna. Il paesaggio invano, inesistente, e il libro poco green, solo tre righe di fiori.

A Parigi c’è il processo Caillaux una faccenda di politica e corna. Il giornale “Le Figaro” propone lettere intime di Joseph Caillaux, ministro delle Finanze, con l’amante Henriette divenuta seconda moglie.  Le missive dimostrano la fragranza dell’adulterio. Henriette affronta il direttore del giornale Gaston Galmette, uno dei primi fan di Proust, e gli scarica addosso cinque o sei colpi di pistola uccidendolo. Il suo avvocato dirà che voleva solo intimorirlo. Viene assolta perché il suo gesto è considerato un irrazionale delicato impulso femminile. E subito l’attenzione pubblica si sposta all’assassinio del leader socialista Jean Jaures, ammazzato perché contrario alla guerra che incombe. Henriette è dimenticata. 

Nel libro François dà solo un breve cenno di Caillaux, lui è preso da altro.  Ha   quindici anni, va male a scuola che bigia spesso e con i suoi amici si augura la guerra perché porterà trambusto e magari vacanze insperate. Conosce Marthe, una giovane diciottenne priva di descrizione a causa dello stile sobrio.  Il primo approccio è letterario, parlano de “I fiori del male” di Baudelaire. Il fidanzato di lei, il fante Jacques, glielo ha proibito. E con buone ragioni perché nel seguito sarebbe stato il libro galeotto. Sfogliano anche “Una stagione in inferno”, il poema di Rimbaud. Questi è nelle cronache per la morbosa amicizia con Verlaine finita a pistolettate. 

Il rapporto tra i due giovani si snoda come amicizia tanto che François collabora ai preparativi del matrimonio, sceglie i mobili per la casa dei futuri sposi. Poi lo assale la voglia di saltarle al collo “come fanno gli scampati a un naufragio”.  Quando Marthe sposa il soldatino l’amicizia con François diventa tresca amorosa. Pertinente la salace insinuazione di Bourdet: il matrimonio è per le donne la libertà sessuale. A quei tempi una volta sposate, tolto il sigillo, potevano accedere a pascoli proibiti.

Ma il vulnus come avviene? La scusa per giungere finalmente al dunque è un acquazzone. Lui si bagna lei si preoccupa per un possibile malanno, lo spoglia e gli offre un pigiama di Jacques. Questi è sempre al fronte a difenderli dal nemico. La colonna sonora della storia è data dal cupo rombo di cannonate, per fortuna oltre i boschi.

Ma questo amore cos’ha da renderlo diverso da quelli che inzuppano migliaia di libri? Questo amore è all’insegna di una spudorata innocenza. E non c’è il “mi usi ti uso”, ci si prende e amen. Ognuno chiede e nel contempo si offre. È un inno all’amore come canta la Piaf. E soprattutto non esistono il peccato e la vergogna che mettono il lutto al piacere.  È uno scroscio di acqua irruente ma limpida. Magari gelida quando Marthe brucia nel fuoco le lettere del marito senza leggerle ma sempre cristallina. Manca l’enfasi, il compiacimento: è la descrizione di una furiosa necessità condivisa. Ma scavando ecco la sorpresa: non c’è un insieme.  François e Marthe sono avvinghiati ma irraggiungibili l’un l’altro: ognuno adempie al suo ruolo. C’è dicotomia non nelle effusioni ginniche ma nei sentimenti. Lui soddisfa i suoi primi ardori e millanta, lei è come una madre, quasi a preconizzare la sua fine. Una Giovanna d’Arco pronta a immolarsi sul rogo della passione. Ha compreso che amore è anche darsi ricevendo calci e cattiverie, François è crudele con lei. Marthe è vittima ma François minorenne e forse circuito: il me too con chi si sarebbe schierato? 

L’intera narrazione è del ragazzo, sicuramente parziale. E la ragazza? Un vuoto incolmabile. La conosciamo solo per alcuni gesti: quando strappa le lettere. Quando segue l’amante nei viaggi patetici e meschini negli alberghi, con stanze doppie per la minore età di lui. Ed è abile nel tenere i suoi segreti. Quando il marito viene in licenza hanno un rapporto o no? Particolare di rilievo per la paternità del prossimo nascituro. 

Ma intanto qui la carne è servita per un ideale d’amore, là sul fronte la carne è macellata per un ideale di morte. Inconsciamente gli amanti  offrono l’alternativa a quei massacri. Soltanto mezzo secolo dopo il gregge conierà lo slogan: fate l’amore non fate la guerra.

I due giovani non sono cauti e non sono soli. Sono circondati da tanti guardoni sbigottiti. Uomini non buoni per il re e la regina, donne con il marito soldato che sembrano le sigaraie della Carmen, pipistrelli luttuosi. Compunte, in gramaglie, presto mummificate nella funzione di vedove di guerra.  I fiori lanciati alla partenza appassiscono nei cimiteri. E tutti spiano, spettegolano. La gente mai si fa i fatti suoi e la liaison amorosa si diffonde. Dilaga la condanna, la riprovazione dei perbenisti. 

Marthe si ammala, François come fanno i maschi si allontana, quasi la ripudia.  A lei è riservato la sorte dell’infermiera di Hemingway in “Addio alle armi”: muore dopo il parto. Gli autori si sbarazzano volentieri delle loro eroine facendole morire per fiondarsi su nuove avventure. Hemingway deve andare in Spagna a misurare le corna ai tori.  A Pamplona c’è la fiesta di San Firmino con l’encierro, la corsa con i tori verso l’arena. E nel sacco a pelo lo attende la Maria di “Per chi suona la campana”. 

Marthe agonizzante dà il nome François al bambino e muore invocandolo. François l’amante e Raymond l’autore egoisti e saccenti sono convinti che il saluto sia rivolto a loro ma in quel momento Marthe è amante o madre? François alla morte di Marthe scopre che desiderava per lei quel nulla e definisce il suo amore mostruoso. Ma questo giunge a tempo scaduto, non ha valore.

Il libro è “Il diavolo in corpo” di Raymond Radiguet, uscito prima come “Cuore acerbo”. Desta un gran clangore sia per l’erotismo che per il disfattismo patriottico: scandalizza. Raymond ha un fastoso successo aiutato da Jean Cocteau innamoratissimo di lui e suo pigmalione. Cocteau il dandy e Radiguet il naif da addomesticare convivono e formano una coppia che svetta nel mondo della cultura. Raymond, per gli amici Monsieur Bebé, è bisessuale e ha una passione smodata per le donne che corrispondono con veemenza. Tra le altre divide i favori di una Beatrice con Modigliani che lo ritrae. Molte donne, alcune celate a Cocteau. L’ultima sarà Bronya Perlmutter, icona dadaista, futura moglie del regista René Clair. Hemingway forse per invidia lo definisce “perversa” calcando sarcastico il femminile. 

Con il suo abbraccio mortale la guerra ha strangolato la sfrontata,  licenziosa Belle Epoque. Alla sua fine a Parigi gravita un drappello di artisti che appartengono alla generazione perduta. Per rifarsi del tempo smarrito vivono una vita sfrenata che è anche cannibale. E il loro destino è già illustrato, è nello sguardo della giovane donna di Degas che beve l’assenzio, la fata verde che affoga i tormenti. Uno sguardo fisso sul baratro del nihil e privo di pietà. 

Nell’estate del 1922 Radiguet e Cocteau impazzano sulla spiaggia di Le Lavandou, ubriachi di sole, asciugati dal mistral e assordati dal cicaleccio  incessante delle cicale. Raymond sta componendo “Il ballo del conte d’Orgel”, il suo secondo libro che non vedrà pubblicato. In una foto sgranata appare travestito da donna e ricorda quando Gustave Flaubert esclamava: “Madame Bovary c’est moi!” Emma Bovary sono io, confermava, e Raymond è Marthe! Cocteau, l’angelo maledetto, lo ha corrotto, ha provveduto a una sua reincarnazione in vita. Ed è stato lui ad istigare François ad essere malvagio con Marthe. A causa della sua misoginia, la sua isterica gelosia: sui corpi nudi spalmava fiele. 

Ah! Ospite non invitato si fa vivo il marito di Alice la presunta Marthe, Gaston, che conferma il tradimento e accusa Raymond di aver plagiato pezzi del diario della moglie che lui picchia sovente per quella colpa.  E lo scrittore negava e spergiurava che il racconto fosse autobiografico! Smentito alla grande!  E con Alice ha banchettato, eccome!

A vent’anni un bagno nella Senna sarà fatale a Raymond. O è accaduto nelle vacanze estive con Valentine, moglie di un pronipote di Victor Hugo?  Prende una febbre tifoidea e nel delirio esclama: “tra tre giorni sarò fucilato dai soldati di Dio”. Evento funesto che si avvera. D’altronde segni premonitori c’erano stati. A una seduta spiritica con tanto di tavolino ballerino la morte lo aveva ammonito: ”voglio la tua giovinezza”. Al funerale organizzato dalla stilista Coco Chanel è presente lo scultore Brancusi, con lui aveva condiviso una vacanza in Corsica provocando le scenate di Cocteau. Alla cerimonia Picasso insieme a tanti altri artisti.  

L’angelo vendicatore di Marthe non colpisce solo Raymond, l’autore perfido. L’attore Gerard Philipe che impersona François nel film di Claude Autant Lara muore a soli 36 anni per un tumore al fegato. Ma tutto era già impresso nello sguardo della bevitrice di assenzio. E in quello sguardo c’è anche il nostro destino.

 

Gianfranco Andorno 

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Tags: gianfranco andornoil diavolo in corpoRaymond radiguet

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