
Piero Gobetti nasce nel 1901 a Torino, i genitori gestiscono una drogheria. Dopo il liceo un breve assaggio della guerra che sta finendo e si iscrive a giurisprudenza. Il suo credo politico lo esporrà nelle sue riviste: Energie Nove, quindicinale, La rivoluzione liberale, uscita settimanale, Il Baretti, quindicinale. Sono trascorsi quasi cento anni e ci accostiamo a queste con curiosità ed emozione, emozione profonda che spiegheremo più avanti.
Energie nove (1918/1920)
Il programma è steso da Balbino Giuliano: Rinnovamento. C’è un richiamo all’idealismo che conduce alla grandezza della Patria, evitando le ideologie sterili e vili. Inoltre un invito a liberare l’Io dai limiti che lo vincolano. Gli Italiani devono unirsi nella concordia del lavoro. Occorre la ricerca di una vita spirituale affrancata da inutili frasi libertarie. “Ci sarà sempre da lottare contro l’ipocrisia dei farisei, vestiti da amici del popolo, ribelli e rivoluzionari.” E si propugna per l’Italia un futuro conforme al suo passato. Gobetti approva l’impegno anche se rileva che “un programma concreto è ingenuità sciocca.” Ma aggiunge che quanto proposto vibra nei cuori. E si augura di superare i tanti ostacoli. L’enfasi degli intenti è attribuibile alle gesta belliche, echi degli interventisti. Infatti afferma che la guerra sarebbe un tradimento atroce se l’orribile esperienza non ci avesse insegnato le deficienze della cultura, del carattere. E annuncia una nuova guerra: più aspra, più spietata per cambiare il Paese.
Non mancano gli scontri vivaci. Nel 1919: “I socialisti dell’Ordine Nuovo (un giornaletto torinese di propaganda) sfogano le loro ire contro la nostra rivista. Non li comprendo questi attacchi.” Avversario è Palmiro Togliatti con il suo articolo: Parassiti della cultura. Togliatti la prende alla lontana. Rimpiange Leonardo e la Voce che sono stati lo Sturm und Drang culturale della giovinezza. E poi non ci va leggero. “Questi, questo (Gobetti) ha un credo, una fede da predicare. Non puoi tenere il riso a vedere uno scolaretto che si aggira testoni tra le cose che non sa e quelle che vuol scimmiottare. Chi nega la grande luce di quelle pagine è un malvagio, un vigliacco.” D’altronde Gramsci non è da meno. Così definisce i futuristi: “Gruppo di scolaretti scappati da un collegio gesuitico.” Il termine scolaretti è ripetuto.
Sfogliando i numeri troviamo esperimenti di socialismo, frammenti di estetismo politico. Gobetti avverte che non siamo la Russia, non c’è lo Zar. Da noi un tentativo di rivoluzione porterebbe a “una lotta tragica tra città e campagne.” E la borghesia, più evoluta del proletariato, si prenderebbe il potere… Il progresso nasce dalla conciliazione che c’è nel liberalismo. Evitare “l’impotente inutilità di una scimiottatura” che colpirebbe la vita storica, perfino il proletariato, instaurando regni superati:” la teocrazia o il socialismo.”
Gobetti sa essere ironico, scherzoso. “Odio i crociani: sono vuoti, parolai inerti quanto gli anticrociani. Ammiriamo Croce, genio della cultura nostra, ma sgombriamo il campo dagli sciocchi che non hanno facoltà d’intenderlo.”
La rivoluzione liberale(1922/1925)
Il primo numero esce il 12 febbraio e contiene il suo Manifesto. “La Rivoluzione Liberale pone come base storica di giudizio una visione integrale e vigorosa del nostro Risorgimento.” Giovanni Ansaldo è ironico e cita Veuillot: “Roma, all’osteria. Abbiamo il diritto di essere poveri, la povertà è di buon umore.” E: “Altro che marxismo! Non c’è che del poverismo.” Gobetti ribatte e lo perdona: “Aderisce alla storia anche chi vi repugna.”
Gobetti vaticinava una classe di industriali audaci, fuori dal parassitismo e come principe di questi vede il fondatore della Fiat Agnelli, “eroe del capitalismo moderno.” La base della nuova società la vedeva costituita dagli operai e dai contadini. A questo riguardo Gramsci lo riprende affermando che nelle sue classi c’è il riverbero dell’individualismo, la sua etica. Il proletariato è per lui una creatura astratta. La contesa è aperta. L’intransigenza morale nobilita il suo liberismo, ne fa una cosa diversa dal consueto. Liberale per lui è liberato. È contro il sonno, l’inerzia della borghesia. Nel frattempo l’Italia giolittiana esala i suoi ultimi respiri.
Il percorso è ostico ci sono amici che ergono ostacoli. Giuliotti: “Caro Gobetti, sono antiliberale, antidemocratico, antisocialista, anticomunista…” Gobetti: “Noi stimiamo la sua intransigenza, che non ci stancheremo mai di combattere…” E c’è il liberalismo socialista di Carlo Rosselli.: “Mi posso considerare liberale?” Il socialismo sarà ma potrebbe anche non essere, il Sorel enigmatico. Gobetti nel 1925: “Dobbiamo trovare da soli la nostra giustizia. E questa è la nostra dignità di antifascisti: per essere europei dobbiamo sembrare, comunque la parola ci disgusti, nazionalisti.”
Diffida. Considerando che La Rivoluzione Liberale è incorsa più volte nel provvedimento di sequestro…
Il Barretti (1924/1928)
Purtroppo gli ammonimenti di Gobetti sono stati vani. Nel 19121 a Livorno avviene la dolorosa scissione dei socialisti, nasce il partito comunista. Fomentatori dell’accaduto avvoltoi russi inviati espressamente. Gobetti nel 1926 scrive di un Risorgimento senza eroi. Afferma che il suo è il Risorgimento degli eretici, non dei professionisti. Argomento preponderante della rivista è la letteratura, tra i collaboratori Eugenio Montale. Debenedetti elargisce la sinfonia palpitante di Proust, Cajumi spiega la formazione del romanticismo. Il periodico continua ad uscire anche dopo la morte di Gobetti ma nel 1928 viene chiusa per ordine del prefetto. Gobetti voleva combattere al sole del giorno ma ormai è sopravvenuto l’oscuro della notte.
Piero Gobetti è un poeta della politica e non sono più tempi di lirismo. Da una parte c’è la settimana rossa, la velleitaria occupazione delle fabbriche, dall’altra la volontà di riportare l’ordine, fermare gli scioperi che distruggono la vita quotidiana e l’economia. La scena è occupata dai bravacci degli opposti schieramenti. Il duello ideologico ha cambiato le armi, ha sostituito il pensiero con la torva, ottusa forza. La parola mozzata dal gesto che offende lo spirito, lo esautora. mortifica
Piero Gobetti dopo aver subito aggressioni e sequestri nel febbraio del 1926 cerca rifugio a Parigi. Pochi giorni dopo, il quindici, muore a causa dei suoi malanni cardiaci peggiorati da una bronchite. Lo si piangerà come il profeta disarmato. Magro, occhialuto continua ad aleggiare in via XX Settembre. Emaciato ma risoluto è ritornato a tutelare la sua casa editrice, i libri. E al suo fianco, al suo capezzale ci sono: Prezzolini, I frateli Nitti, Luigi Emery…
L’emozione, questa ci assale a riesumare carte ormai antiche. Emergono personaggi che hanno pagato un caro prezzo per un ideale e noi, impregnati di vacuità, siamo nell’imbarazzo. Ci piace illuderci che siano serviti a creare l’oggi, sarà vero? O uno spreco, un vascello con il gran pavese che va alla deriva?
Ci specchiamo e non possiamo esimerci dai paragoni. La tecnica, la tecnologia ha sempre avuto un cammino parallelo con gli intellettuali. Qualche volta congiunto, con servaggi. Ai giorni nostri la tecnologia con l’aggiunta della I.A ha contaminato, ha preso il sopravvento, reso come dei robot tutti noi. Il passato è prigioniero del tempo. E quando frughiamo ci sembra di rimestare le foglie morte, da spazzare, di quel grande albero che è la storia.