
La rivista «Arthos» è, da decenni, un punto di riferimento per quanti siano interessati al pensiero di Tradizione. È nelle librerie l’ultimo numero di questo periodico, pubblicato da Arya Edizioni di Genova e dedicato, in gran parte, alla discussione di un tema avvincente, Il Paganesimo (per ordini: info@edizioniarya.it, pp. 416, euro 38,00). Si tratta di una pubblicazione di particolare rilievo: va segnalata all’attenzione dei lettori, sia per le firme di prestigio che vi compaiono, quanto per l’impeccabile curatela che la caratterizza. Gli autori dei saggi sono noti studiosi di tradizionalismo, di storia delle religioni, di filosofia e simbolismo. Diversi gli accademici, tra gli altri ricordiamo Pietro Mander, Flavio Piero Cuniberto, Luciano Albanese. La rivista, diretta da Nicola Crea, è articolata in più sezioni: in Contenuti sono raccolti i saggi che discutono, da diverse prospettive e angolature, tematiche legate a senso e significato dei culti politeisti, o che si soffermano su loro particolari implicazioni. In questa sezione compare lo scritto di Dumézil, Vacuna, che fu tradotto da Renato Del Ponte. L’angolo di Julius Evola celebra il cinquantenario della morte del pensatore romano e presenta scritti che analizzano il rapporto paganesimo-cristianesimo nel filosofo romano (è il caso del contributo di Aldo La Fata). In tale sezione compare un importante saggio di Elémire Zolla, finora inedito nella nostra lingua, che mette a tema i rapporti teorici e personali intercorsi tra Evola e Reghini. Infine, in Memoranda et Agenda, vengono ricordate, con partecipata commozione, le figure di Renato Del Ponte, fondatore del periodico, di Enzo Mario Migliori e di Giovanni Feo, recentemente scomparsi.
Per ragioni di spazio, ci intratterremo solo su alcuni degli scritti della rivista, quelli più vicini alla nostra sensibilità. Non ce ne vogliano gli altri autori. Muoviamo dal saggio, informato e convincente, di Luca Siniscalco, dedicato a, Forme politeiste del sacro in Ernst Jünger. L’autore precisa che Jünger, nel 1996, dopo un iter teorico complesso, aderì al cattolicesimo. Da giovane, lo scrittore aveva confessato la propria difficoltà a sposare una confessione religiosa positiva, sviluppando una critica alla teologia centrata su un’intuizione di Leopold Ziegler. Questi aveva rilevato che: «Il divino si esprime sempre […] in forma dinamica» (p. 159). Per tale ragione, Jünger riteneva che la contemporaneità avesse necessità di nuove forme di espressione religiosa. Il divino, grecamente inteso, dà segno di sé nel cosmo, nella physis. Nella contingenza storica della modernità è preservato nel foro interiore dal Singolo, dal “contemplatore solitario”. Il tedesco ha sempre mantenuto un atteggiamento sismografico riguardo al Sacro: «Alla ortodossia […] oppone una ortoprassi: una strategia di visione ed evocazione delle forme del divino» (p. 161). Theós, in greco, ebbe valore aggettivale, così come il tedesco Gott conserva in sé il mistero di un principio ineffabile e indicibile, tradito dal dio personale del Cristianesimo. Jünger avrebbe messo in atto, a dire di Siniscalco, un tentativo di integrazione del linguaggio cristiano con: «l’immaginazione creatrice pagana» (p. 161), ponendo in posizione di sacco qualsivoglia dualismo.
Solo nella physis, ne siamo convinti, è possibile cogliere la realtà della trascendenza immanente, di cui disse Evola. Essa si mostra nella vibratilità della dynamis, esperibile in un’empiria estatica, connotata dall’apertura al reale sia dei sensi che dell’intelletto. Nella dimensione estatica si vive in un tempo qualitativo, dinamico e dionisiaco, un tempo imperniato sulla ricorsività del simile, non dell’identico. L’origine, infatti, inizia sempre daccapo. Tale visione rimase vitale in Jünger anche dopo la sua adesione al cattolicesimo. Il tedesco lesse, infatti: «La Grazia, come forza di donazione originaria» (p.172). La sensibilità spirituale rimase, nello scrittore, sempre la stessa. Una sensibilità esposta al principio, all’origine, mirata alla tutela del Deus absconditus e del misterium vitae.
Temi non dissimili emergono nell’intervista rilasciata a Nicola Crea da Alain de Benoist. In essa, il filosofo francese, se abbiamo ben inteso, ribadisce le posizioni espresse, qualche decennio fa, nel volume, Come si può essere pagani?. Prende le distanze dalle forme parodistiche di neo-paganesimo e dal New Age, ribadendo una visione dell’origine da intendersi come il sempre possibile. È l’azione umana a decidere il riaffermarsi del principio nella storia o il suo definitivo oblio, esempio di visione tragica pura. Giovanni Damiano nel saggio, Il pensiero delle differenze nel mondo classico, delinea: «una breve analisi genealogica, volta a ricostruire […] alcuni frammenti […] del pensiero delle differenze durante l’età classica» (p. 225). L’intento è perseguito attraverso l’attenta analisi di quanto prodotto, in termini teorici e politici, in Grecia e a Roma, e in forza di una non comune conoscenza delle fonti. Nel primo caso, ruolo dirimente ebbe l’opera di Giuliano Augusto: «che seppe far convivere, in un ordinamento gerarchico, il padre di ogni cosa (il dio della religione ebraica) con gli dèi etnarchi» (pp. 230-231), riducendo la possibile egemonia del primo, in un contesto storico ormai difficile, se non compromesso, per il politeismo. Per quanto attiene a Roma, basti citare la conclusione dello scritto: «Fare del confine un dio “significa rendere le proprie scelte, e in un certo senso, la propria identità, indiscutibili […] La cultura romana […] ci appare come un insieme di costruzioni anti-flusso”» (p. 235), alle quali tornare a guardare nell’età della dismisura.
Segnaliamo, infine, lo scritto di Charles Upton incentrato sulla discussione dei rapporti tra fisica e metafisica, in particolare alla luce delle posizioni tradizionaliste di Schuon. Ci pare un indirizzo di studio da approfondire. Chi scrive ritiene, alla luce delle opere del fisico ed epistemologo Claudio Borghi e della filosofia di Cacciari, che in questo ambito sia necessario ribadire il tratto singolare, sempre in fieri dell’origine. Ciò consente non solo di superare il dualismo indotto dal logo-centrismo, distinguente essenza ed esistenza, essere e nulla, ma di recuperare il cuore vitale del Paganesimo europeo, la potestas di Dioniso, chiave di volta della filosofia evoliana e quint’essenza della visione sferica del tempo.