
Il 2 aprile 2025 Donald Trump fa ciò che annunciava da anni: alza il sipario sul “Giorno della Liberazione”: libera – a suo dire – l’economia americana dal giogo del commercio internazionale sbilanciato. Tradotto: dazi a raffica su tutto ciò che si muove verso gli Stati Uniti. E subito il mondo reagisce come se un meteorite avesse colpito la globalizzazione. Panico nei mercati, urla dai governi, indignazione planetaria. Ma davvero non ce l’aspettavamo?
“Tutela dei consumatori”
Sogni cosmopoliti
La guerra dei dazi è un conflitto intricato e subdolo con vincitori e vinti. Basta ricordare che anche il New Deal di Roosevelt, celebrato come la svolta progressista per eccellenza, si reggeva su robuste barriere doganali e sull’idea che l’America dovesse badare a se stessa. Altro che sogni cosmopoliti.
E a chi oggi invoca lo spirito del libero scambio tradito, conviene ricordare che è da almeno un ventennio che in America, a sinistra come a destra, si cova il sospetto che la globalizzazione non sia proprio equa.
Delocalizzazioni – vessazioni
Dall’establishment del Partito Democratico fino ai populisti del Tea Party, passando per Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez, il coro era simile: la classe operaia americana è sacrificata sull’altare delle delocalizzazioni.
Eppure, quando Trump fa ciò che ha promesso, tutti fingono di cadere dalle nuvole. I mercati finanziari, in particolare, appaiono sconvolti: ma non sono gli stessi che hanno festeggiato la sua vittoria nel 2024? Che cosa si aspettavano, che scherzasse?