
Le piazze della Turchia in questi giorni sono scosse da intense e partecipate proteste popolari. Motivo delle tensioni è l’arresto di Ekrem Imamoglu – sindaco della capitale Istanbul ma ormai rimosso dal Ministero degli Interni e capo dell’opposizione turca e del Partito popolare repubblicano (Chp) – per corruzione e favoreggiamento al terrorismo a causa dei suoi ammiccamenti al Pkk curdo. Benché quest’ultima accusa sia decaduta, probabilmente per tentare di placare le proteste, il fermo dell’ormai ex sindaco di Istanbul è stato confermato e le proteste di massa continuano fra centinaia di arresti e tensioni che, al momento, non sembrano impensierire più di tanto la solidità del governo turco guidato da Erdogan.
Il presidente del Paese, appunto Erdogan, non è nuovo a tali tensioni ma sembra continuare la sua azione con grande serenità grazie al supporto degli apparati turchi, in particolare Esercito e polizia. Nonostante i continui arresti e le restrizioni sulla stampa e sul web nemmeno il cosiddetto “mondo libero” delle democrazie occidentali sembra turbato dalla mannaia autoritaria turca. I doppi standard occidentali non sorprendono ma Erdogan comunque non può sottovalutare le sfide interne quanto quelle esterne sempre più pressanti. La rinnovata politica imperialista neo-ottomana, come è stata ribattezzata, necessariamente deve essere sostenuta dal consenso interno per poter avere reale efficacia e profondità, e le attuali proteste popolari sono frutto più di un malcontento generalizzato dovuto dalle pessime condizioni economiche in cui versa il Paese, piuttosto che una ricerca di democrazia. L’inflazione incalzante e i continui aumenti dei tassi d’interesse da parte della banca centrale per cercare di contenere la svalutazione della lira turca sono molto indicativi delle pessime condizioni economiche in cui versa la popolazione nonostante la percezione di forza che il governo cerca di dare, soprattutto in materia di politica estera (senza dimenticare gli accordi sulla Difesa con l’Italia e Leonardo).
A tal proposito, l’espansionismo turco, soprattutto in Siria è malvisto dalla vicina Israele che percepisce questa prossimità come una minaccia diretta. Continuano, infatti, i bombardamenti israeliani sui siti militari siriani per timore che possano essere occupati a breve dalle forze turche, così come aumenta la pressione diplomatica israeliane affinché i russi mantengano le loro basi sulla costa siriana. È chiaro che Israele consideri la presenza russa in Siria come un controbilanciamento dell’espansionismo turco, così come è evidente che in questo momento di disgelo fra Usa e Russia la sua richiesta trova spazi molto favorevoli da ambo i lati.
Intanto in Turchia, mentre continuano gli arresti a giornalisti e manifestanti, Imamoglu è stato proclamato dalle primarie come candidato a presidente della Repubblica. Benché unico candidato, circa venti milioni di turchi si sono recati alle urne anche per spingere a improbabili ma possibili elezioni anticipate. Il voto, per ora, è previsto nel 2028 ma un vecchio adagio dice che chi perde Istanbul perde la Turchia…
A me un leader come Erdogan piace molto.