
Luciano, non ti disunire. Io l’ho fatto già. Ma è un lusso che, da spettatore coi piedi a banana, mi posso permettere. “Papà, che noia: io la passo a te, tu la passi a me, che pizza!”. Al 46esimo del primo tempo, con l’Italia in vantaggio sulla Germania, mica cotica. “Massì, però aspetta un attimo”. Al 47esimo, ultimo dei due minuti di recupero, dopo l’ennesima melina (come si chiamava una volta con disprezzo, prima che diventasse epifania del bel giuoco) ho mollato anch’io. “Sì, hai ragione: vediamo che danno su Rai5”. Abbiamo preferito seguire un concerto di Shostakovic piuttosto che ascoltare dai commenti di Lele Adani (ma questa è un’altra storia) la rimonta dei panzer-otti tedeschi. Shostakovic non è certo stato il più allegro e dei compositori russi del ‘900 e la sua sinfonia numero 7, “Leningrado”, non era certo la più ottimista. Anzi. Ma questa tua Nazionale, Luciano caro, non ha granché di allegro. Ai fraseggi (mo’ li chiamano così) tra difesa e centrocampo azzurro, meglio quelli veri dell’Orchestra Sinfonica Rai allenata, pardon diretta, dal maestro finlandese Pietari Inkinen.
Detto questo, però, Luciano non ti disunire. Te ne sei andato da Napoli a Coverciano. E no, non dirò di te ciò che diceva Capuano di chi se ne va a Roma. Perché non è vero, in generale. Perché non sarebbe né vero né giusto, in particolare. Nel tuo caso. Però la tentazione di passare da allenatore a guru ce l’hai. Dagospia ti ha sfottuto già: che barba, la tua. Del resto, da bravo contadino, sai benissimo che non puoi fare altro. Se non mi vanti tu, mi vanto io. E non per egoismo o perché tu ne abbia bisogno. Sappiamo, per primo io, il tuo valore. Ma è un problema questa nazionale, questi calciatori che non sembrano all’altezza della maglia che indossano, un movimento che ha perduto per due volte dicesi due l’accesso alla fase finale dei mondiali ma che continua a parlar di sé come se fosse (ancora) una grande potenza della pedata. Non lo siamo. Così come non lo siamo in tantissimi altri campi in cui riteniamo, con la spocchia che sappiamo imputare solo ai cugini francesi, di esserlo. Luciano, il problema è che un bambino di cinque anni, piuttosto che vedere la nazionale, preferisce seguire un concerto di musica classica. Il che, da padre, mi renderebbe pure un pizzico orgoglioso ma che, da uomo e da bambino che fui, mi fa stranissimo. All’età sua guardavo Zenga e sognavo di diventar grande solo per poter indossare anch’io la maglia grigia (e non azzurra) del portiere dell’Italia. Oggi Donnarumma, con tutto il bene e il rispetto, indossa una casacca verde uguale a tutti i portieri da Lisbona a Varsavia. Simbolo di un calcio tutto uguale, da Stoccolma a Lampedusa. E noioso, tanto noioso. Luciano, tu però non ti disunire. Son pronti a dirtene (già) di ogni ma solo tu puoi cacciare qualcosa dal cilindro. Siamo scarsi, metti il libero; fallo, se non altro, per reazione alla dittatura della (presunta) estetica di un giuoco che tutto è diventato fuorché bello.