
Il conflitto russo-ucraino ha risvegliato l’intero continente europeo da un certo torpore che lo aveva avvolto per diversi decenni e che ha fatto credere ai suoi popoli che la guerra fosse qualcosa di lontano, antistorico, superato. Nemmeno la guerra nei Balcani degli anni ’90 è riuscita a scuotere questo torpore ma oggi la guerra è tornata a essere una presenza vicina, incombente, concreta, minacciosa. Addirittura, si parla di riarmo, di ripristino della leva, di truppe al fronte, di difesa comune europea, di esercito nazionale europeo. C’è da dire però che al netto del ReArmEu, ovvero il piano di investimenti a debito pari a 800miliardi in quattro anni per incrementare e potenziare gli arsenali degli Stati europei, tante parole sono ferme solo al livello delle intenzioni e molte di queste non attraverseranno nemmeno tale soglia. Benché la guerra sia una possibilità reale ed effettiva, da non poter sottovalutare soprattutto quando si parla e si è in pieno riarmo, l’Europa è un continente vecchio per fare la guerra. Vecchio nel senso che l’età anagrafica è troppo alta per poter affrontare e sostenere una guerra, la media è di 44,7 anni con quasi un quarto della popolazione over 65. Non è solo un problema di prestazioni sul campo, dove oltre le abilità fisiche conta anche la disponibilità tecnologica, ma anche di tenuta del tessuto economico e sociale che ha bisogno di risorse incalzanti per sostenere il peso di un conflitto bellico. Questo lo sanno bene le elites che governano l’Unione Europea e gli Stati europei e allora che senso ha il ReArmEu?
In un precedente articolo abbiamo già accennato di come questo piano di investimenti potrebbe servire a stimolare la stagnante economia europea così come sembra essere un ammiccamento agli Usa che non desiderano più un’Europa semplicemente a carico (qui) ma potrebbe esserci anche un terzo motivo. Il percorso di integrazione europea nasce nel dopo guerra con un indirizzo che nei primi decenni si è sviluppato ma che ha cominciato a perdere di senso quando il mondo ha cominciato a cambiare dalla caduta del Muro di Berlino in poi.
La storia si è rimessa in moto
Frantumatosi l’era bipolare segnata dallo scontro Usa-Urss, il mondo pareva indirizzarsi verso un incontrastato dominio americano in quel processo chiamato globalizzazione e che ha avuto effettivamente un percorso ma che di fatto non si è realizzato. Il risultato attuale è l’emergere di più e nuove potenze imperiali accanto agli Usa e che cercano di affermare un proprio ruolo nello scenario internazionale. Russia, Cina, Iran, Turchia e in misura minore l’India sono i nuovi attori che affiancano gli Usa e che sgomitano per essere riconosciuti nelle loro aspirazioni imperiali e come si può vedere l’Ue non è citata fra questi. Il motivo merita approfondimento ma al momento si può spiegare sintetizzando il ruolo dell’Europa come “cliens” o colonia degli Usa.
L’ignavia delle élite europee
Un ruolo spiazzante per le elites europee che negli ultimi 30 anni non hanno saputo interpretare le trasformazioni internazionali e che oggi cercano di reinventarsi ma fuori tempo massimo e con abiti che rischiano di stare stretti ai popoli che loro vorrebbero e dovrebbero governare, benché sotto il cappello americano. In quest’ottica, che deve fuggire il refuso complottista, bisogna inquadrare il ReArmEu come un piano di debiti a carico dei cittadini europei ai quali sarà richiesto certamente il risarcimento ma come tasso di interesse potrebbe essere richiesto un incremento dei poteri di Bruxelles. La Bce, infatti, probabilmente sarà il paracadute che sosterrà il piano di riarmo poiché di fatto saremo importatori netti del piano e quindi l’impatto sul Pil dei singoli Stati sarà ovviamente in negativo. Per intenderci, se saranno in maggioranza le aziende americane a produrre armamenti per l’Europa, i soldi investiti dagli Stati europei andranno a ingrassare unicamente il Pil statunitense e quindi resterà solo la Bce a sostenere e garantire il debito contratto attraverso il piano del ReArmEu, benché i singoli Stati saranno svincolati dal Patto di stabilità. Questo renderà le istituzioni europee ancora più presenti e influenti sulle politiche nazionali che saranno costrette a cedere ulteriori pezzi della propria sovranità.
Nessun esercito unico
Nessun esercito unico in vista poiché non può esserci esercito nazionale senza una Nazione, qualche Stato potrebbe ripristinare la leva, forse più in funzione di pedagogia delle masse, ma il ReArmEu come possibile tentativo per continuare a sgretolare le sovranità nazionali a favore un apparato burocratico sempre più complesso, sempre più lontano dalle esigenze dei suoi popoli, sempre più autoritario ma soprattutto sempre più insignificante sul piano internazionale. Se questa sarà davvero la prospettiva allora sarà difficile per l’Europa trovare una narrazione costruttiva di sé stessa e a darsi una missione nel mondo del terzo millennio. Forse sarebbe più opportuno ritrovare una influente capacità diplomatica e scoprire un debito “buono” non per usurare il benessere e l’agilità politica dei cittadini ma banalmente per tornare a costruire strade, scuole, ospedali e magari recuperare un po’ di capacità manufatturiera.
Rimandate la pennuta Ursula von der Kakkien nel suo pollaio! Fuori, sa solo far danni, il massimo del dilettantismo incompetente e dell’incoscienza…
“…per tornare a costruire strade, scuole, ospedali e magari recuperare un po’ di capacità manufatturiera…”.
Mi piacerebbe che qualcuno, invece di attaccare sempre l’Unione Europea, riconoscesse l’opportunità ricevuta con il NextGeneration EU. Poi si scopre che siamo noi a non essere in grado di spendere i soldi della EU, come invece fanno la Polonia o la Cechia…