
“La piazza come bisogno e sentimento che aspetta risposte dalla politica”. È il titolo dell’articolo di Alessandro De Angelis sulla grande adunata “europeista”, promossa da Michele Serra (La Stampa, 16 marzo).
L’incipit è un cantico commosso che merita la lunga citazione. ”Davvero bel colpo d’occhio, di questi tempi, la piazza, vista lassù dal Pincio. Piazza piena e non era scontato. Una distesa di bandiere blu dell’Europa, ma anche bandiere della pace e dell’Ucraina. Piazza ordinata, di quelle dove può girare anche un bambino e non serve il servizio d’ordine. Piazza educata, di quelle dove ti fermano per parlare di politica, per commentare quel che succede e quel che si vede in tv. Piazza che non cerca nemici, anti-populista nei modi e nelle convinzioni e che in religioso silenzio, come in una messa, ascolta l’Inno alla gioia accompagnato dai violini”.
Valori senza politica
Per De Angelis, vice-direttore di HuffPost, però, a piazza del Popolo all’anima valoriale della sinistra (la democrazia, il rifiuto della legge del più forte, i diritti variamente declamati) è mancato un corpo in grado di incarnare quei principi attraverso una politica. Ed è proprio questa scissione – commenta – che “diventa il filo narrativo del pomeriggio europeista, anche tra palco degli artisti, cantanti, giornalisti impegnati e sottopalco della politica. Sopra il palco, l’Europa come idea contrapposta al mondo confuso, lo spirito di Ventotene, il sogno di Colorni e Spinelli ed Ernesto Rossi ce lo siamo dimenticati?”.
Ma davvero Ventotene è un faro di luce nel buio della politica del nostro tempo? L’invito dei suoi autori a considerare la metodologia politica democratica come “un peso morto nella crisi rivoluzionaria” deve indurci a far piazza pulita (un’altra piazza) dei ludi cartacei, nel senso di costruire l’Europa senza chiedere ai cittadini dei vari Stati se la vogliono davvero – e, semmai, invocando a giustificazione della dittatura demiurgica la rousseauiana “volontà generale” , contrapposta alla volontà di tutti?
Seduti sul sentimento
L’entusiasmo di De Angelis, però, si spegne nella chiusura dell’articolo. ”C’è poco da fare, anche una bella giornata lascia il senso di un grande irrisolto. In altri tempi non si sarebbe mai vista una piazza dove la politica manifesta, ma senza dare risposte al popolo. Resta lì seduta sul sentimento”.
Il sentimento sarebbero Ursula von der Leyen e Volodymir Zelensky, col loro dono dell’ubiquità (stanno sia nel palco, sia nel sottopalco)? Si ha l’impressione che, nella mente di De Angelis, le idee non siano cartesianamente “chiare e distinte”, dal momento che viene esaltata una manifestazione inconcludente, in nome di quei “buoni sentimenti” che, nelle acque della politica, lasciano solo il classico buco.
Peggio del Partito d’Azione
”Non sanno quello che vogliono, ma lo vogliono subito”: così Benedetto Croce commentava il programma del Partito d’Azione. Un commento che s’attaglia perfettamente ai manifestanti di Piazza del Popolo, che, dinanzi ai problemi della pace, dell’Europa, del rapporto con gli Stati Uniti e con la Nato etc. non avevano alcun serio progetto politico che li accomunasse ma che, per lo meno, hanno provato l’ebbrezza di ritrovare unita una sinistra che rischiava di essere un “volgo disperso che nome non ha”. Per fare che, non si sa.
Se su piazza del Popolo De Angelis ha scritto un articolo – ignorando le manifestazioni della Bocca della Verità (Marco Rizzo, “Pace e sovranità”) e di piazza Barberini (“Potere al popolo”) -, Ezio Mauro ha composto un vero e proprio saggio, “In quella piazza una promessa di libertà e democrazia” (La Repubblica,16 marzo). Polemizzando, al solito, con la nuova destra sovranista e populista, Mauro non s’è risparmiato gli squilli di tromba: “La piazza democratica di ieri, tollerante delle sue stesse differenze e consapevole delle ragioni di stare comunque insieme, ha già cambiato qualcosa nella coscienza delle persone, semplicemente perché ha posto l’Europa come orizzonte, e ha testimoniato che si può fare, e che vale la pena farlo”.
La piazza, ammette, era divisa ideologicamente, ma come le frecce scagliate sul giovane Buddha, che si tramutavano in fiori, tale divisione è la riprova che dinanzi a un fatto come la guerra, Paesi, partiti, comunità, famiglie possono pensarla diversamente, segno di serietà e di consistenza etica.
J’accuse!
Assistiamo a una svolta epocale, rileva Mauro. ”Il giudizio sul bene e sul male, convenzionalmente condiviso, non c’è più, Trump non imputa a Putin l’aggressione, l’invasione, la guerra, lo sta assolvendo senza giudicarlo, mondandolo di ogni colpa, senza giudicarlo fino a portarlo redento e dunque innocente al tavolo della trattativa. Il fatto è che il mondo si sta conformando a questo meccanismo per cui il passato non conta e anche la storia comincia a scorrere e ad acquistare significato solo dal momento in cui il demiurgo la tocca, piegandola ai suoi interessi: non giudichiamo più la guerra, la colpa, il ruolo dell’aggredito e dell’aggressore. In questo modo stiamo compiendo un’inversione morale, guardando solo al modo di uscire dal conflitto, che certo è importante, ma che altrettanto certamente non può essere disgiunto dalla responsabilità del suo inizio”.
Renziani, calendiani, riformisti
Mauro, che ha espresso molto bene il sentimento prevalente nella maggioranza dei convenuti in piazza del Popolo (renziani, calendiani, riformisti Pd etc.), un sentimento che prescinde totalmente dalla ragione o dalle ragioni della guerra in corso: parla, infatti, delle responsabilità dell’inizio del conflitto, come se non si disponesse di un’enorme letteratura al riguardo – storici e scienziati politici, filosofi morali e giuristi, scienziati ed economisti, religiosi e opinionisti – del tutto incompatibile con la vulgata zelenskyana, che per lui è vangelo. Putin e Trump sono le sue bestie nere e sedersi al tavolo della pace si può solo colpevolizzando il vincitore e richiamandolo alle sue responsabilità politiche e morali.
Nelle mani dei sauditi? Ohibò
Nessun cenno alle colpe dell’Europa, ricordate persino dall’europeista Romano Prodi in un’intervista al Fatto quotidiano. Questo armamento è indispensabile, ma doveva essere condito da proposte di pace. E’ qui la vera colpa dell’Europa. Vi rendete conto della gravità del fatto che la trattativa sia in Arabia Saudita? E che i mediatori siano turchi, sauditi, brasiliani? Questo è quello che rimprovero a von der Leyen. L’Europa non ha fatto nulla”.
Alle rodomontate di Mauro corrispondono quelle di Carlo Calenda che, con la sua consueta gravitas, ha sentenziato: “L’Europa deve riarmarsi, la forza e la libertà stanno insieme. Oggi l’Europa o è potenza oppure non esiste. Nessuno di noi ha intenzione di lasciare la piazza ai ’pacifisti”.