
Intervistiamo lo scrittore Claudio Mauri (Milano, 1952), già collaboratore delle pagine culturali (quella che una volta si chiamava “Terza Pagina” e che era una sorta di fiore all’occhiello di ogni quotidiano) de “Il Giornale” e de “Il Giorno”. E’ stato il primo biografo di Montanelli, al suo attivo ha, tra il resto, anche una raccolta di poesie (“Milano su una nuvola” del 2013), alcuni inquietanti romanzi storici, alcuni saggi su un argomento poco conosciuto, ossia quello dell'”esoterismo fascista” e un pezzo teatrale, preceduto da un saggio storico, sulla strage di Gorla, quando il 20 ottobre 1944 la scuola elementare della località venne bombardata dall’aviazione americana, provocando la morte di 184 scolari.
E’ stato il primo biografo di Indro Montanelli. Come Le è venuto in mente di scrivere una biografia del personaggio?
“Il 2 giugno 1977 le Br spararono a Montanelli otto colpi di pistola, quattro dei quali andati a segno. Fu un miracolo che i proiettili non gli recidessero l’arteria femorale. L’idea di dedicargli una biografia nacque in quel momento e si concretizzò qualche anno dopo con la pubblicazione da parte della casa editrice SugarCo. Oggi Montanelli gode di un apprezzamento quasi unanime, solo alcune frange di contestatori imbrattano occasionalmente il suo monumento. Se fosse ancora in vita, probabilmente ne riderebbe, perché rispettava più chi lo contestava di chi gli rivolgeva elogi interessati. Durante un incontro pubblico con due dei suoi attentatori, Lauro Azzolini e Franco Bonisoli, ormai dissociatisi dalla lotta armata, Montanelli strinse loro la mano e poi dichiarò: “Lo feci perché nel mio antiquatissimo galateo sta scritto che i nemici caduti li si aiuta sempre a rialzarsi.” Bonisoli divenne amico di Montanelli e volle essere presente alla camera ardente per dargli l’ultimo saluto”.
Quale eredità ha lasciato Montanelli?

“Montanelli ha lasciato un’importante eredità: fu un maestro di chiarezza espressiva. Il suo stile era asciutto, essenziale e accessibile a tutti, senza fronzoli o eccessi retorici. Si è sempre definito un “battitore libero” e ha mantenuto un’indipendenza di pensiero rara nel panorama giornalistico italiano. Criticò sempre il conformismo culturale e politico, sfidando sia la destra sia la sinistra. Celebre fu il suo duro confronto con Berlusconi negli anni ’90. Montanelli resta un punto di riferimento per chiunque voglia fare giornalismo in Italia”.
Ma c’è qualcuno che si possa definire discepolo di Montanelli?
“Ero molto giovane quando mi concesse la prima intervista. Mi guardò e mi disse: «Non deve credere a una sola parola di quel che le dico.» Era il suo modo di insegnare senza imporsi: scuotere l’interlocutore con un paradosso. No, lui non accettava discepoli, ma invitava chiunque a pensare con la propria testa. Ogni affermazione, chiunque la pronunci, va soppesata con senso critico: solo così si è davvero liberi. Altrimenti resta solo l’acquiescenza. Diceva Orazio: “Nullius addictus iurare in verba magistri.” (Non sono obbligato a giurare sulle parole di alcun maestro)”.
Come giudica il Montanelli quale divulgatore storico? Le confesserò, da studioso di storia del Risorgimento, che la sua biografia di Garibaldi è, a dir poco, orripilante e per questo venne stroncata dai recensori. Ma la serie della “Storia d’Italia”, che ebbe anche un enorme successo di vendita, è riuscita secondo Lei, a far interessare il grosso pubblico alla sempre più negletta storia?
“Il successo dei suoi libri storici è dovuto al loro stile narrativo avvincente, che li rende simili a romanzi. Montanelli dava vita ai personaggi storici con descrizioni vivide e aneddoti gustosi. Questo stile narrativo ha reso la storia affascinante per molte generazioni di lettori. Se i giovani studenti oggi odiano la storia, ciò è dovuto al fatto che nei testi scolastici hanno ridimensionato il ruolo dei personaggi e quello delle loro passioni. Dai un volto agli uomini del passato e loro ti parleranno. Altrimenti, come può nascere empatia?”.
Molti parlano, soprattutto in seguito al successo di quel romanzo di fantascienza (non lo giudico altrimenti) che è stato “Il mattino dei maghi” di Pauwels e Bergier, di “esoterismo nazista”. Lei, invece, stando più con i piedi per terra ha pubblicato alcuni saggi (e poi un romanzo) sull’assai meno noto “esoterismo fascista”. Ci può dire qualcosa al riguardo?
“Ho pubblicato un romanzo, frutto di anni di ricerca (“La catena Invisibile”, Mursia, 2005) e due saggi inclusi nel volume “Esoterismo e fascismo” (Edizioni Mediterranee, 2006). Gianfranco De Turris, il curatore, ha raccolto 35 saggi di 25 autori diversi con il supporto di immagini e documenti rari e inediti. La storia è un’immensa ragnatela in cui si nascondono fili invisibili. L’esoterismo fascista è un aspetto poco conosciuto del regime mussoliniano, che ha coinvolto gruppi come il “Gruppo di Ur”, fondato da Julius Evola. Ha rappresentato un fiume sotterraneo nella nostra storia, cercando di influenzare il regime in senso pagano. Questa azione si è esaurita con il Concordato del 1929: il fascismo di regime, pur avendo una componente pagana, riconosceva il Cattolicesimo come religione ufficiale italiana”.
Ci può suggerire qualche dritta per approfondire l’argomento?
“Aggiungerei, oltre ai libri che ho prima citato, quello di Renato Del Ponte: “Evola e il magico gruppo di Ur,” Borzano, SeaR, 1994”.
La strage di Gorla viene ricordata ufficialmente, dalle autorità statali, solo dall’anno scorso (va riconosciuto che le autorità municipali milanesi lo hanno sempre fatto). Ha trovato difficoltà nel fare ricerche su quel tragico fatto? La critica come ha accolto il Suo lavoro teatrale?

“Non ho avuto particolari difficoltà nel trovare la documentazione necessaria. La commedia, preceduta da un saggio, è stata pubblicata in volume (“Il male viene dal cielo”, Tabula Fati, 2014) e ha suscitato interesse e dibattito. Se Pirandello ha creato Sei personaggi in cerca d’autore, i cinque della mia commedia hanno trovato il loro autore. Ma un regista e un palco forse non li troveranno mai: affermare che la strage di Gorla sia stata un crimine di guerra deliberato, e non un ‘tragico errore’ come sostenuto ufficialmente, è una verità troppo scomoda per essere accettata apertamente. Ci sono verità che fanno troppo rumore per essere dette, e silenzi che pesano più di mille condanne. “Ma non c’è nulla di nascosto, che non sarà rivelato” (Luca 12:2)”.
Lei ha scritto un romanzo, davvero inquietante, “Imperi di polvere” (Solfanelli, Chieti 2019) che porrei (anzi, l’ho già fatto nella mia biblioteca) accanto a “1984” di Orwell e a “Il tallone di ferro” di Jack London. Può illustrarci retroterra e fini di questo Suo romanzo (che sicuramente non è stato solo un divertissement letterario)?
““Imperi di polvere” affronta il tema della guerra fredda culturale, esplorando le dinamiche del potere e le manipolazioni ideologiche di quell’epoca. Il romanzo non è concepito come un semplice esercizio letterario, ma come una riflessione sulle fragilità delle democrazie e sulle insidie dei totalitarismi, con l’obiettivo di stimolare nel lettore una consapevolezza critica riguardo alle influenze culturali e politiche che plasmano la società. La storia possiede un “sottotesto” che raramente coincide con ciò che ci viene inculcato fin dal primo anno di scuola. Ci insegnano a considerarla immutabile e scolpita nella pietra, ma in realtà è il potere a scriverla sulla sabbia, modellandola secondo i propri interessi. La vera sfida dei prossimi anni sarà proteggere ciò che resta della democrazia dalle minacce della manipolazione e del controllo assoluto. Una frase ormai abusata e ridicola recita: ‘Dovete scegliere da che parte stare’. Ebbene, bisogna scegliere la verità e non un padrone che ti mette un guinzaglio al collo”.