Nicolas Gauthier parlava spesso con Jean-Marie Le Pen. La prima volta, nel 1986, è stata una specie di occasione perduta – spiega Nicolas, che allora aveva 22 anni, balbettava tre domande, poi il registratore si guastava. Ma i due erano destinati a essere amici. Le interviste si susseguiranno e anche i libri, scritti a quattro mani. Le Pen comme vous ne l’avez jamais lu (Éditions Déterna) offre il meglio di quegli incontri. Non solo un Le Pen come mai l’abbiamo letto, ma anche un Le Pen come mai l’ abbiamo visto. Una sorta di appendice dei Mémoires, insieme “Figlio della nazione” e “Tribuno del popolo”. Ecco il privilegio di un’antica complicità: parlare “a viso aperto e francamente”. Lungo le pagine, Le Pen si rivela: libero, coraggioso, fedele alle convinzioni, ribelle sempre. Una belva politica – nulla è meglio di una belva immonda.
Destra economica + sinistra sociale
Il libro di Gauthier su Jean Marie Le Pen
ELEMENTS – Pochi giornalisti come te hanno così ben conosciuto Jean-Marie Le Pen. Politicamente, in che famiglia, in quale tradizione lo poni?
NICOLAS GAUTHIER – “Come definire un uomo così restio a definirsi? Per lui definirsi era un po’ come limitarsi. Forse perciò le risposte a questa domanda erano spesso contraddittorie. Così, nel tempo, si è definito un ‘libertario nazionale’, ‘di destra economica e di sinistra sociale’, presentandosi anche come il ‘Ronald Reagan francese'”. C’era la Guerra Fredda e il percorso di Reagan non gli spiaceva: attore di serie B, sindacalista, arrivato tardi in politica e disprezzato dell’élite americana. Una volta gli dissi che, in fondo, lui era un ‘hippie di estrema destra’ e ciò lo fece ridere. Secondo René Rémond [La destra in Francia, Mursia, 1970] e le sue tre destre, legittimista, orleanista e bonapartista, è nella terza che metterei Le Pen. Un patriota populista, con un po’ di legittimismo, ma fervente repubblicano: non esitava a prendermi in giro, spesso, come incorreggibile monarchico. Molti l’hanno criticato perché non era un ‘vero repubblicano’; invece per me era troppo repubblicano”.
Umanamente com’era?
“Immensamente gentile, talora l’ingenuo: in quanti gli hanno preso soldi senza restituirglieli? Tanti. Credo che Le Pen volesse bene sinceramente alla gente e cercasse di capirla, specie quelli che non ne condividevano le idee. D’altronde, da buon bretone, si infuriava, per placarsi pochi minuti dopo, dimenticando i motivi di collera. Mai l’ho mai visto arrabbiato coi subordinati. Ragionava da militare qual era: per lui non c’erano cattivi soldati, ma solo cattivi ufficiali.
Seguiva il mutare della società?
“Era di un’insaziabile curiosità intellettuale. Sapeva che avevo lavorato nella stampa rap. Quindi mi chiedeva tutto di questi artisti: chi avesse talento e chi meno, o non ne avesse alcuno”.
Gli abiti nuovi della vecchia destra gli erano stretti? Perché li criticava? E tu che cosa gli rimproveri, dato che Le Pen pareva comportarsi come Nicolas Gauthier?
“Bollava i limiti angusti della destra. Non lottava per la destra, ma per la Francia. Non gli importava della destra. La disprezzava tanto quanto la destra disprezzava lui. Penso che avesse più rispetto per chi era di sinistra. Andava creduto quando diceva: ‘Chirac è uno Jospin in peggio'”.
Odiavamo la borghesia
E Jospin com’era?
“Rispettava Jospin, socialista che si comportava come tale. Ma Chirac, una finta destra, lo esasperava. In seguito, non so se Le Pen stesse facendo Nicolas Gauthier o fosse viceversa; ma ciò mi onora. So solo che, in linea di massima, si concordava sull’essenziale. Forse per questo punto in comune: lui non è mai stato un dipendente – salvo pochi mesi, da responsabile della pubblicità del settimanale Minute – e io da 30 anni sono free lance. Allora si ragionava un po’ da poujadisti [qualunquisti – NdT]. L’altro punto in comune odiare la borghesia, sia di sinistra, sia di destra”.
Il “né destra, né sinistra” di Marine Le Pen non nasce dal nulla, così come il suo sdoganamento. C’è continuità – o rottura – tra lepenismo e marinismo? Che cosa Marine deve al padre? Che cosa il padre deve alla figlia? Che cosa li ha divisi?
“Il ‘né destra, né sinistra’ riguarda il saggio omonimo scritto con Samuel Maréchal nel 1995. Jean-Marie Le Pen ci ha sostenuto dietro le quinte nell’impresa, volta a contrastare le assi della campagna che Bruno Mégret voleva imporre, basati su ‘vera’ e ‘falsa’ destra: ovvero il Front National e il conglomerato Rpr-Udf dell’epoca. Dopo le elezioni presidenziali del 1995, il Fn è il partito-guida dei reduci della classe operaia. Dovevamo quindi rivedere da cima a fondo il software lepenista di ieri. Non è un semplice principio di opportunità: è ciò in cui credo, altrimenti non avrei firmato quel libro”.
Secondo Alain de Benoist…
Correggerebbe qualcosa?
“Forse il titolo. Per Alain de Benoist sarebbe stato meglio Di destra e di sinistra. In tal senso c’è continuità tra padre e figlia. Così come sono in origine avviati da Jean-Marie Le Pen lo sdoganamento del Fn e il cambio di nome. Egli torna sull’ultimo, certo, ma solo perché si è intrappolato, nell’intervista a Rivarol: le dichiarazioni sull’occupazione tedesca della Francia, non giudicata ‘disumana’, sono off the record, prima che trascritte su carta. Sa che è un errore, ma l’uomo è tale da non ammetterlo pubblicamente”.
Perché?
“Dal suo punto di vista, non può sbagliare. Se sbaglia, ha solo un po’ meno ragione del solito. È l’inizio dello scontro con Marine, più per questioni di forma che di sostanza. Per il resto, nulla li separa, soprattutto se si pensa che il padre amava i gatti tanto quanto la figlia”.
I gatti di famiglia…
“Ero a casa, oltre 15 anni fa. Intervistavo Jean-Marie al telefono. Mouflette, la gatta di casa, si getta su di me, in un impeto di affetto così invadente da farmi esclamare: ‘Mi dai fastidio!’ E Le Pen mi chiede: ‘Ehi, Nicolas, mi parli così?’ Allora gli dico: ‘Ma no, è solo il gatto che vuole coccole…’ Risposta: ‘Se vuoi, richiamami. Le nostre buffonate politiche sono molto belle; ma l’abbraccio del gatto conta ben di più!”.
Sempre golliano, talora gollista
In politica estera, Le Pen era gollista? Europa da Brest a Vladivostok, alleanza con la Russia, Putin o no, indipendenza da Washington, critica alla politica israeliana e al sostegno francese ai conflitti americani – si pensi alla prima guerra del Golfo… Chi oggi, a destra, avrebbe tali posizioni? Non è ciò che più crudelmente manca alle destre?
“Non so se fosse gollista. Certo era golliano. All’epoca i suoi intimi erano anti-gollisti, tranne Roger Holeindre e Roland Gaucher: eppure uno era sfuggito di poco alle prigioni golliste ai tempi della guerra d’Algeria; l’altro ci aveva provato nel 1945. Ma all’uomo del18 giugno 1940[appello del Generale ai francesi da Radio Londra – NdT] non rimproveravano altro. Per Jean-Marie Le Pen quella era storia antica. Quindi: sì, a suo modo era gollista, ma per difendere gli interessi francesi non occorre dirsi gollisti. Ben prima di de Gaulle, Jacques Bainville lo faceva bene”.
Continua.
“Quanto alla tua seconda domanda, nel 1990, quando Le Pen è contro la Guerra del Golfo, il Fn ha solo il 15% dei voti, non è alle soglie del potere; tanto più che, con la definizione di ‘dettaglio’ della seconda guerra mondiale la persecuzione degli ebrei si aliena involontariamente le autorità ufficiali della comunità ebraica di Francia”.
Eliseo infine raggiungibile
Oggi la situazione è diversa.
“Il Rassemblement National, principale partito francese, conta di arrivare al potere. Da qui la posizione intermedia di Marine Le Pen, che, sulle guerre russo-ucraine o israelo-palestinesi, non può dire ciò che pensa. Questa la differenza tra padre e figlia. Contrariamente ai pettegolezzi giornalistici, lui il potere lo voleva; ma non aveva i mezzi per conquistarlo. La figlia invece vuole procurarseli. Le altre ‘destre’ che citi giacciono forse all’ufficio ‘oggetti smarriti’ di Parigi!”
Attorno al Rn che cosa c’è?
“Les Républicains, divisi tra Éric Ciotti, ormai alleato del Rn, Laurent Wauquiez e Bruno Retailleau, che presto si affronteranno per le rovine del partito fondato da Jacques Chirac. L’altra destra ‘alternativa’ è ancor più patetica: tra Éric Zemmour, Marion Maréchal e Sarah Knafo, tre nel seggio di Vézigondin, la loro sopravvivenza politica, mi pare altamente aneddotica”.
Le Pen pareva patire l’incomprensione? Certo, essa rispondeva al suo piacere per la lotta, anche quella persa in partenza. Ma tale posizione l’ha isolato e gli è costata il potere. Accettava l’emarginazione o intimamente se ne logorava?
“Essere vicino a qualcuno non significa conoscere i recessi del suo cuore. Credo che patisse di stare sul banco degli infami, ma che se ne facesse una ragione e un motivo di vanto. Come chiunque, avrebbe voluto essere amato. Ma sapeva non amare chi non lo amava o non lo amava più. L’opinione degli amici – ne aveva tanti – contava più di quella dei nemici. Lungo le interviste, affiora che cosa lo separava dai seguaci di Bruno Mégret, che era meno assimilazionista, più europeo, più Nuova Destra nel profondo. La parte sovranista in te è soddisfatta, la parte identitaria in me è frustrata. Ma un uomo non rimane necessariamente ancorato a un’idea. L’ultima del Le Pen – ritiratosi dalla politica, ma non dai commenti – cita un’espressione cara a Dominique Venner: “Europa settentrionale”. Ossessionato dai problemi demografici, Venner era consapevole dell’unità della civiltà, minacciata dal pericolo migratorio”.
L’ultimo Jean-Marie Le Pen è condiviso da Nicolas Gauthier?
“Non importa che lo condivida in qualsiasi periodo della vita. Sarebbe presuntuoso erigermi arbitro d’eleganza politica. Inoltre non sono obiettivo sulla questione Le Pen. Ma provo a essere onesto: mi piacciono tutti i Le Pen e mi pare ridicolo opporli. Jean-Marie fu un ‘assimilazionista’ fino alla fine, senza essere meno ‘identitario’, anche se non mi piace questo termine, troppo riduttivo. L’identità non è unica, è multipla. È ovviamente etnica, ma anche culturale, religiosa, provinciale, ecc.”.
Di conseguenza…
“… Come lui, possiamo accettare l’assimilazione di un certo numero di immigrati, deplorando al contempo che la grande maggioranza non si assimili. E possiamo considerare la dimensione continentale della Francia, senza dimenticare che si affaccia su Atlantico e Mediterraneo, pur essendo, per popolazione, celtica, germanica, mediterranea e perfino d’oltremare insieme”.
Venner come Mishima?
Perciò…
“… Possiamo accogliere la parte d’immigrazione che vuole diventare francese e respingere quella che non lo vuole, fino a combattere il Paese ospitante. Non c’è contraddizione in questo. Ogni problema è intrinsecamente complesso e non si risolve, concentrandosi su uno dei suoi dati; quello etnico in questo caso, nel movimento identitario. C’è chi vorrebbe spiegare tutto con la lotta di classe, chi con la lotta di razza, ma esistono entrambe. Non capirlo significa cadere nella mentalità sistemica o nel romanticismo rivoluzionario”.
Allude a…
“… Le letture di Jean-Marie Le Pen includevano Dominique Venner, che del resto mai aveva preso sul serio, tanto era perplesso sul suo suicidio: non è Mishima Yukio chiunque voglia esserlo. Dominique Venner era un poeta: non ha mai dovuto affrontare le piccole contingenze imposte dalla guida di un partito politico. Jean-Marie Le Pen era un uomo d’azione”.
Qual è la sua vera eredità politica?
“Ha dimostrato che tutto resta possibile, che il peggio non è mai certo, che in politica la disperazione è assoluta stupidità, come scrisse Charles Maurras, una delle sue innumerevoli letture”.
Nicolas Gauthier, Le Pen comme vous ne l’avez jamais lu, Éditions Déterna, 2025, pp- 158, € 21
*Estratti dall’intervista pubblicata dalla rivista Eléments.
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