
Concludevo il mio Meritocrazia ed ascensore sociale dall’800 al grande sogno Usa, lo scorso 30 ottobre: mobilità, impulso all’ascesi sociale, meritocrazia, politica, schiudono le porte ad una più vasta tematica, che l’Antica Grecia ci ha lasciato come testimonianza e stimolo perenne.
Ostacoli alla mobilità sociale. Possibili rimedi
Valori. Notizie di finanza etica ed economia sostenibile è una testata online della Fondazione Finanza Etica di Firenze. Nata nel 2000 come mensile specializzato nei temi dell’economia sociale e della finanza etica, orientate verso le tematiche dello sviluppo sostenibile. Approccio talora discutibile. Un articolo del ’20, ‘Se nasci povero, resti povero’, la finanza sostenibile può ‘spezzare il maleficio’, prendeva le mosse da un Rapporto del World Economic Forum, su The Global Social Mobility Report 2020. Equality, Opportunity and a New Economic Imperative, per il quale ‘la maggior parte delle economie non sono in grado di creare le condizioni affinché i cittadini possano migliorare le proprie condizioni di vita’. Le opportunità sono ancora vincolate allo status socio-economico associato alla nascita: una scarsa mobilità sociale fa aumentare le disuguaglianze. Rende arduo a molti bambini pensare ad una vita migliore di quella dei genitori. Un’elevata influenza del background negativo di partenza genera la crescita delle disuguaglianze e l’erosione della coesione sociale, oltre a minare lo sviluppo economico.
La classifica: l’Italia è al 34esimo posto. Il WEF ha elaborato un indice con 82 Paesi che esplora cinque aree: salute, educazione, accesso alla tecnologia, opportunità e condizioni lavorative; infine protezione sociale ed efficienza delle istituzioni. Secondo il WEF le opportunità di vita migliori si trovano nei Paesi Scandinavi: le prime cinque posizioni sono occupate nell’ordine da Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svezia e Islanda, che presentano buoni livelli di opportunità di base e servizi accessibili ed efficienti:
“In Italia (e non solo) chi guadagna di più continua a crescere più velocemente di chi guadagna di meno. Secondo il WEF tra i principali fattori di questa polarizzazione ci sono la globalizzazione e la tecnologia. La tecnologia ha ridotto la domanda per le occupazioni meno qualificate e fatto lievitare le retribuzioni delle mansioni altamente specializzate, soprattutto nell’hi-tech”.
Quali vie d’uscita? Il WEF suggerisce le linee-guida per due attori chiave: i governi, attraverso strumenti di finanza pubblica (tasse progressive, spesa pubblica, incentivi), programmi di potenziamento dell’educazione e della qualificazione professionale, meccanismi di protezione sociale, con attenzione alle dinamiche originate dal progresso tecnologico; le imprese. Dall’equità nelle retribuzioni agli incentivi a qualificazione e riqualificazione professionale. E l’immancabile pistolotto finale, trasversale (caro alle sinistre ed alla burocrazia di Bruxelles), tante volte risuonato: la priorità del Green Deal, il programma d’investimenti ed iniziative per conseguire la neutralità climatica entro il 2050. Leitmotiv ossessivo contro il quale il tonante Donald Trump sta ora menando duri fendenti, dicendo non trattarsi di ‘riforme’, ma di pericolose ubbie ideologiche.
Green Deal come sogno o truffa
La transizione green appare sempre più uno specchietto per le allodole. Chiacchiere su chiacchiere, sovente sul nulla, con ipocrisia e superficialità diffuse, decisioni masochiste per le nostre economie, per l’industria residuale, per noi insomma; affari certi per altri, a cominciare dagli onnipresenti cinesi. Vari politici stanno ora prendendo coscienza dell’enormità di un’opzione scelta alla leggera, per compiacere la Gretina svedese, la tedesca baronessa ‘pennuta’, il woke…
L’auto elettrica è diventato un paradigma del Green Deal, con le sue folli aspirazioni. L’Italia non è la Norvegia, lo sappiamo tutti, ma uno sguardo alla situazione nella penisola diventa una sorta di cartina di tornasole anche per altri. Il mercato italiano dell’auto inizia male il 2025. Secondo i dati del Ministero dei Trasporti, a gennaio sono state immatricolate 133.692 vetture, con un calo del 5,9% rispetto ad un anno fa. Sesto calo mensile consecutivo ed ennesima conferma del progressivo peggioramento. A gennaio, il gruppo Stellantis ha immatricolato 41.551 auto, il 16% in meno rispetto ad un anno fa. Le elettriche vendute 6.729 unità (in testa la Dacia con 961, la Fiat 500 con appena 238): cioè un modesto 5,03% del totale. La sfiducia regna dunque sovrana.
(https://www.quattroruote.it/news/mercato/2025/02/03/mercato_auto_italia_gennaio_2025.html?Idtrack)
Il dibattito sulla ‘mobilità sociale’
La voce Mobilità sociale di Antonio De Lillo per l’Enciclopedia delle scienze sociali, Treccani (1996) recita:
“Alle origini della riflessione sociologica il tema della mobilità è stato affrontato in stretta connessione con quelli, più specificamente politici, del mantenimento dell’ordine sociale o, all’opposto, della trasformazione della società. Già Alexis de Tocqueville sottolineava come, a fondamento della democrazia, vi fosse l’eguaglianza delle opportunità, ed in tutto il pensiero liberale del XIX secolo dominava in generale la convinzione che le società democratiche fossero in grado di garantire a ciascun cittadino un giusto posto in base alle sue capacità. Economisti come Stuart Mill si rendevano conto che l’esistenza di imperfezioni nel mercato del lavoro produceva barriere equivalenti alle distinzioni; eppure essi erano convinti che la scarsa mobilità della popolazione fosse un fenomeno destinato a scomparire”.
(Antonio De Lillo, 1941-2012, è stato Ordinario e Preside della Facoltà di Sociologia di Trento. Poi, con Guido Martinotti, il principale impulsore della Sociologia all’Ateneo di Milano-Bicocca).
Lo sviluppo del capitalismo industriale, determinato dal progresso tecnologico, avrebbe accresciuto enormemente, per i liberali, le opportunità e, di conseguenza, garantito la libera concorrenza fra gli individui, i gruppi e le classi; sarebbe stato il mercato, con le sue capacità regolative, a garantire la piena realizzazione dell’eguaglianza delle opportunità. Per contro,per il marxismo la mobilità non era argomento al quale dedicare spazio. L’ascesa della classe operaia era un mito liberale, una ‘problematica borghese’, la mobilità sociale avrebbe consolidato il ‘potere dei governanti’. L’unica strada praticabile era un avanzamento collettivo con la lotta di classe. Il tema della formazione e del reclutamento delle élites è stato oggetto di attenzione anche da parte di Vilfredo Pareto, con Gaetano Mosca il massimo teorico dell’elitismo – ch’ebbe a Losanna per allievo un giovane Benito Mussolini, del quale il marchese fu poi, a sua volta, ammiratore e seguace – nel suo Trattato di sociologia generale, del 1916: La prospettiva è diversa dall’impostazione marxiana, anche se le conclusioni sugli effetti che la mobilità produce sulla conservazione dell’ordine sociale sono simili. L’idea fondamentale del Pareto è che ogni società storicamente esistita ha sempre avuto una ‘classe eletta’, dotata di maggiori capacità delle altre, una classe dominante delle forze migliori, che si sviluppano dal basso, e che sono in grado di apportare nuove energie, stimoli, riforme, idee. Che, quindi, logicamente governa la società.
Tra XIX e XX secolo la mobilità sociale, pur essendo affrontata da vari analisti, non ha mai costituito un oggetto di studio a sé stante, secondo De Lillo. La pubblicazione, nel 1927, di Social mobility (La mobilità sociale, Edizioni di Comunità, 1981) di Pitirim Sorokin – sociologo russo naturalizzato statunitense, espulso dall’URSS nel ’22 – con trascorsi socialdemocratici:
“Segna il punto di svolta nella definizione delle coordinate teoriche per ricerche sistematiche.Sorokin mette a fuoco un’ampia gamma di nodi teorici ed empirici connessi allo studio della mobilità. Alla base delle teorie espresse in Social mobility vi sono punti di convergenza con la visione paretiana della società e della natura umana. Come Pareto Sorokin era un elitista, convinto della sostanziale disuguaglianza tra gli uomini e dell’impossibilità di una società egualitaria e riteneva che la mobilità fosse un’esigenza imprescindibile per il funzionamento del sistema sociale”.
(https://www.treccani.it/enciclopedia/mobilita-sociale_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)
Per l’autore, solo negli anni Ottanta, a partire dalle ricerche dell’inglese John Goldthorpe, Social mobility and class structure in modern Britain (Oxford, 1987), le ricerche sulla mobilità sociale tornano a collegarsi in modo sistematico al dibattito teorico.
Le utopie
Il discorso sulla mobilità sociale (osmosi, ascensore ecc.) conduce a correlarlo ai filoni delle forme di governo e soprattutto dell’utopia, intesa come letteratura, programma, sfida, sin dai tempi delle polis greche. Dall’utopia militarista fondata nell’Antica Grecia da Licurgo – della quale scrisse Tucidite nella Storia della guerra del Peloponneso tra Sparta e la Lega guidata da Atene – che rappresenta la guerra come sacra, virile, gloriosa, eroica e purificatrice, ma da alcuni considerata il suo contrario, una utopia negativa (nel quadro della dualità Sparta-Atene), sino al socialismo utopico, infine al transumanesimo. L’utopia è un assetto politico, sociale che non trova riscontro nella realtà, ma che viene proposto come ideale e come modello di armonia. Il termine può riferirsi ad una meta solo teorica, irraggiungibile, sia un punto di riferimento idealistico verso cui orientare azioni attuabili, sia una mera illusione. La parola deriva dal greco antico ou tópos, ‘non-luogo’. Fu coniata da Moro, con la quale battezzò un’immaginaria isola dotata di una società ideale, della quale descrisse il sistema politico nella sua opera più famosa, L’Utopia, pubblicata in latino nel 1516: Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus, de optimo reipublicae statu, deque nova insula Utopia. Thomas More (Londra, 1478-1535) è stato un umanista, scrittore e politico cattolico inglese, canonizzato nel 1935. Si guadagnò fama come umanista e Lord Cancelliere di Enrico VIII. Il suo rifiuto di accettare l’Atto di Supremazia del sovrano sulla Chiesa in Inghilterra, e disconoscere il primato del Papa, lo condusse alla pena capitale per tradimento.
Sparta e l’eterno mito di Sparta. Il suo modello idealizzato. Assai coltivato nella Germania nazista (meno, nell’Italia del duce), nella Francia giacobina o nell’URSS. Abbiamo letto su riviste e blog, in ispecie della destra radicale, gli elogi della storia di Lacedemone, che si fa strumento di formazione per i moderni: una dura civiltà capace di illuminare i secoli, fonte di ispirazione per guerrieri, filosofi, rivoluzionari, Lacedemone ha tracciato un solco, dalla totalità organica del suo ordinamento alla ferrea educazione dell’Agoghé; dall’austerità del suo stile di vita alla centralità comunitaria delle istituzioni; dalla potenza della falange alla tempra dei suoi soldati, in una Weltanshauung eroica, marziale, solare. Il sangue versato nel 480 a.C. alle Termopili (da 298 spartani) rappresenterebbe un esempio di devozione alla Patria ideale che pure oggi dobbiamo difendere. Già nell’antichità era diffusa una certa incredulità che la potenza spartana fosse stata pari alla sua fama postuma (i soliti greci chiacchieroni, direbbe Cardini, altro che laconici!), pur se i romani ne ammiravano il culto militar-patriottico, la formazione di guerrieri feroci. La gesta delle Termopili, contro l’Impero di Serse, diede a Sparta un ultra centenario dominio regionale, spazzato via, nella battaglia di Leuttra nel 371 a.C., dai tebani, alleati di Atene, Argo e Corinto.
Tra le utopie letterarie più note, come sottacere La Repubblica di Platone, L’Utopia di Tommaso Moro, I mondi di Anton Francesco Doni (1552), un romanzo ispirato a L’Utopia di Moro, che lo stesso Doni aveva pubblicato a Venezia nel 1548, La nuova Atlantide (1626) di Francis Bacon, La Città felice di Francesco Patrizi (1553), La repubblica d’Evandria di Ludovico Zuccolo (1625), La Terre australe connue (1676) di Gabriel de Foigny (monaco e libertino francese, che introduce la novità dell’ermafroditismo come tratto caratteristico di quell’isola ideale), La città del sole (1623) di Tommaso Campanella, Les aventures de Télémaque (1699) di Fénelon, precettore del duca di Borgogna, nipote di Luigi XIV (per Montesquieu ‘le livre divin de ce siècle’, ispiratore delle Lettres persanes). Ludovico Agostini scrisse il dialogo La repubblica immaginaria, a fine ‘500 (rimasto manoscritto a Pesaro fino al 1940, quando Luigi Firpo lo riscattò dall’oblio). Non per caso quasi tutte furono redatte dopo la scoperta del Nuovo Mondo.
Il marxismo
Alcuni includono tra le utopie in parte realizzate, o tra le distopie, anche il marxismo-leninismo di Karl Marx, prussiano ebreo di Treviri, nel Manifesto del Partito Comunista del 1848 e nel Capitale del 1867 (alla base del cosiddetto Socialismo Scientifico e del Materialismo Storico Dialettico, con i contributi di Friedrich Engels) e poi non solo teorizzato, ma applicato da Lenin e Stalin durante e dopo la Rivoluzione d’Ottobre e da vari imitatori, il più noto dei quali fu Mao Tse-Tung. Per altri fu e rimane una sorta di ‘millenarismo’ laico, una teoria che diventa filosofia, ideologia, regimi politici aspiranti all’ingegneria sociale ed a riplasmare la stessa natura umana (come avrebbe forse sottolineato Edmund Burke, celebre per le Réflexions sur la Révolution de France,1790) una ‘religione atea’, materialista, illimitata, dai tratti fanatici, con ortodossie, eresie,
comuniche, culti smisurati della personalità, feroci persecuzioni per oppositori e non-allineati. Clara Zetkin (1857-1933), ebrea tedesca amica di Rosa Luxemburg, nel 1916 fra i fondatori della Lega Spartachista, esiliatasi a Mosca dopo l’avvento del nazismo poco prima della morte, aggiunse alla lotta al capitalismo quella al ‘patriarcato’. Una rivendicazione femminista radicale, ben oltre il ‘sufragettismo’ (originalmente angloamericano ed aristocratico), che diverrà crescentemente dirompente dopo il 1968. Zetkin teorizzò dall’800, per decenni, la liberazione dalla sudditanza maschile come parte dell’emancipazione del proletariato, tiepidamente condivisa in ambito marxista. Scrisse molti articoli su La questione femminile e La lotta al revisionismo.
Con la tomba nel Muro del Cremlino, Stalin le concesse un posto nella mitologia comunista.