
“Un fantasma torna improvvisamente a ricordare alla nostra sensibilità neoromantica la sua incerta e dolorosa esistenza, i suoi amori impossibili, le sue posizioni violente e le sue ambiguità. Dal suo suicidio, è esistito solo nella memoria di alcuni scrittori. Drieu La Rochelle sta bussando alla nostra porta”.
Il pensiero che apre questa nuova riflessione su Drieu proviene dal numero 143 del Magazine Littèraire pubblicato ormai quarantasette anni fa. Eppure, vista l’ultima pubblicazione di Socialismo fascista sulla quale ha abilmente scritto Mario Bozzi Sentieri, il fantasma di Drieu ha smesso di bussare, poiché la porta è stata aperta dall’interno.
Chi è Drieu?
Chi è stato? Noi, non c’è alcun dubbio. Ma chi si cela dietro questo pronome? Jean Mabire, Adriano Romualdi, Carlo Cerbone e chi, al giorno d’oggi, si occupa dello studio della vita e delle opere di Pierre Drieu La Rochelle. Tuttavia, è possibile utilizzare ancora una volta la parola fantasma? Credeteci, è impossibile. Uno scrittore che toneggia dal cielo squarciando l’apparente tranquillità dell’odierna palude mefitica non è soltanto un ectoplasma, ma un individuo in carne e ossa. Drieu, in questo momento, è più vivo che mai. Discettare sul suo rapporto con Mosca e con Berlino, passando per Ginevra e Parigi, sarebbe vacuo e stantio, vista la discreta produzione libraria sulle tesi politiche del normanno dell’Île-de-France. Sarebbe più opportuno, almeno per chi scrive, creare intorno a Drieu una vera e propria barriera, una coltre che sa di protezionismo da chi, ultimamente, s’è preso la briga di utilizzarlo per scopi che emanano un olezzo di attualismo. Ciò che Drieu ha scritto rappresenta un memorandum, un modo d’intendere l’Europa che va oltre le minuscole opinioni di chi non ha mai dialogato con lui. Tuttavia, lo abbiamo scritto prima, parlare del Drieu politico sarebbe un’offesa per ciò che è stato durante l’apice della sua potenza. È nel Drieu romanziere che troviamo la gran parte degli elementi chiave che guidano un certo – o meglio, il nostro – sentire quotidiano. Esimersi brutalmente dalla lettura della Commedia di Charleroi e commentarne criticamente Socialismo fascista fa sì che si crei un vuoto che distorce la gioia – di Drieu – che è sboccata nel nostro sangue.
La crisi europea del ’29 è il momento decisivo, il quale dà adito allo scrittore per affermare la sua volontà di spirito: divenire il primo dei militanti. E se lo leggessimo oggi con lo stesso metodo di certe “novità” editoriali, lui ci risponderebbe:
“Noi siamo uomini d’oggi. Noi siamo soli. Non abbiamo più dei. Non abbiamo più idee. […] E allora davanti al blocco della nostra Europa l’Asia, l’America e l’Africa diventeranno polvere”.
Tuttavia, quel blocco europeo che Drieu ha sempre auspicato, non è lo stesso che oggi, a Roma, certi soloni ormai decrepiti hanno professato ai microfoni con dichiarazioni come “Noi siamo gli Stati Uniti d’Europa”, la quale avrebbe provocato una certa ilarità tra gli scranni della N.R.F., “Soltanto noi, l’Europa, siamo la cultura”, dunque il Bhagavadgītā ritrovato sulla scrivania di Drieu è stato scritto da un mistico della scuola di Crowley.
Drieu sta bussando alla nostra porta per ricordarci il suo intento:
“Voglio distruggere la società capitalista e restaurare il concetto di aristocrazia. Per me il trionfo degli Stati Uniti, dopo una guerra mondiale, è spaventoso quanto il trionfo della Russia”.
E i tanti, tantissimi che oggi stanno provando l’ebbrezza delle armi, dovrebbero rimembrare chi tiene ben saldo il loro guinzaglio: l’Occidente – che non è Europa -, il continuo genuflettersi alle dinamiche materialiste del secondo Dopoguerra e il debito. Se Ezra Pound docet, Drieu ha già dato troppo. Dunque, noi abbiamo aperto la porta, chi tra loro oserà dargli ragione dopo ottant’anni?
Drieu è attualissimo, è uno dei miei scrittori preferiti ed a lui ho dedicato su questa testata recensioni e riflessioni, non ultima quella di considerarlo un ecologista identitario tout court