
I Balcani anche nel terzo millennio continuano a rappresentare la “polveriera d’Europa” e non manca giorno, specialmente negli ultimi mesi, che non arrivi notizia di nuove agitazioni che scuotono soprattutto la popolazione serba divisa fra la Repubblica di Serbia, la Repubblica di Srpska (entità autonoma della Bosnia nata dagli accordi di Dayton) e l’entità del Kosovo. Già solo questo quadro lascia intendere la complessità della situazione, si aggiunga una storia recente e passata di guerre e tensioni interetniche mai realmente risolte e un quadro geopolitico che la vede a cavallo fra più mondi oggi in accesa contrapposizione.
Sebbene gli “slavi del sud” (croati, sloveni, serbi, bosniaci, montenegrini, macedoni) possano essere considerati a tutti gli effetti degli europei in senso politico, geografico e culturale, i serbi mantengono un cordone ombelicale molto forte con la Russia (che comunque Europa è) mal digerito dalle élites occidentali. Questa situazione di ricercato equilibrio da parte serba, che da sempre ambisce all’integrazione europea, in realtà si rivela una condizione di continua precarietà e instabilità per tutta la regione.
Il mandato di arresto per Dodik
Gli ultimi mesi sono particolarmente tesi sia nella Repubblica di Serbia, scossa da proteste studentesche che il governo teme si possano trasformare in rivoluzioni colorate; sia nel Kosovo dove la polizia kosovara continua a procedere con arresti indiscriminati nei confronti della minoranza serba; sia nella Repubblica di Srpska dove nei giorni scorsi è stato notificato un mandato di arresto a Milorad Dodik, presidente della Repubblica.
L’accusa per il presidente serbo-bosniaco è grave, addirittura attentato all’ordine costituzionale a causa di alcune recenti leggi considerate separatiste dall’Alto rappresentante internazionale in Bosnia (altro elemento di complessità). Insieme a Dodik, il mandato di cattura è stato recapitato anche a Radovan Viskovic, premier della Repubblica di Srpska, e del presidente del parlamento della Repubblica, Nenad Stevandic, e la percezione serbo-bosniaco è quella di un vero e proprio attacco alla propria leadership democraticamente eletta. Il rischio che i già precari gli accordi di Dayton possano crollare su sé stessi e che si possa riaccendere una guerra civile nel cuore dell’Europa, a due passi dall’Italia, a soli 10 anni dalla fine dell’ultimo conflitto, è molto alto.
I mediatori
Le diplomazie occidentali, in particolare quelle europee, russe e serbe sono chiamate in queste ore con responsabilità a calmierare le tensioni e magari a ricreare un tavolo negoziale dove possano essere ridisegnati nuovi equilibri che tengano in considerazione le reali esigenze delle popolazioni coinvolte. Gli artifici creativi di Dayton non hanno portato ad alcuna giustizia ma hanno solo creato una tregua apparente sotto la quale ancora bollono tensioni che, Dio non voglia, possono sfociare in vecchi odi per nuovi spargimenti di sangue che, in questa fase storica, potrebbero anche avere pericolosi riverberi oltre la regione balcanica. Storia docet.