
Due sole cose Mei ha imparato nella vita. Una è il kung fu, l’altra è che in Cina, è nata quando era vietato essere secondogeniti (cioè tra 2002 e 2016). E lei aveva una sorella maggiore, partita per l’Italia e finita a fare la prostituta. Il denaro guadagnato le sarebbe servito per riscattare proprio la sorellina da una vita di segregazione, per non costringere la famiglia a pagare la sanzione per chi ha più di un figlio.
Le fazioni dei poveri
Ovviamente nulla è come sembra o come dovrebbe essere. A colpi di arti marziali, unico suo linguaggio conosciuto, Mei si ritrova in una Roma, dove si schierano fazioni contrapposte. I “romani de Roma” e gli immigrati: cinesi, che danno un peso economico alle donne e alle carte da gioco, agli immobili e perfino a sicari travestiti da bodyguard; italiani, derubati di tutto, pure dei ricordi della fanciullezza.
La città proibita di Gabriele Mainetti – quello di Lo chiamavano Jeeg robot e Freaks out – è un film che ricorda da vicino il Tarantino di tante scazzottate e sequenze pulp, ma non il regista revisionista, che ama soffermarsi su come potrebbe essere andata diversamente una storia famosa come quella di Django o al contrario Sharon Tate in C’era una volta a Hollywood.
Però ci si diverte e questo è ciò che Mainetti e il suo film offrono. Un’opera di qualità con tanta adrenalina e colpi di scena ogni tre quarti d’ora. È sorprendente l’arrivo di Mei nella Città Eterna. Lo è altrettanto la chiave che scioglie la scomparsa della sorella di Mei. Lo è il pre-finale e pure l’epilogo vero e proprio, che riequilibra nella serenità due ore coi nervi tesi.
Un cattivo all’amatriciana
Si ride pure. Perché Marco Giallini è un cattivo all’amatriciana e Sabrina Ferilli una borgatara che si trova splendidamente a suo agio nelle vesti di una ristoratrice all’Esquilino, tanto genuina e infuriata quanto becca e “bastonata” da un marito fuggito con una più giovane e bella. Noi e gli altri, insomma.
Un tema frequentato, anzi frequentatissimo, che Mainetti affronta con il tono dell’uomo della strada più che il politicante arraffa consensi. E se il film indugia forse troppo – e un quarto d’ora in meno sui 140 minuti totali sarebbe il benvenuto – quasi non ce se ne accorge. Di questi tempi è merce preziosa.
La città probita di Gabriele Mainetti, con Enrico Borello, Yaxi Liu, Marco Giallini, Sabrina Ferilli, Luca Zingaretti, 135′
Contribuisce, credo, pure a spiegare ulteriormente il disastro comunista in Cina. Non annullato dal boom economico. Parte di quella sbormia ideologa della mia città, Torino, all’inizio dei ’70, assieme alla mitizzazione del castrismo assassino e liberticida. I frutti impestati del maoismo d’accatto li raccogliamo ancora oggi…