
Dalla lacrima all’ardore, il passo è breve. Specialmente quando si tratta di epica guerresca. Questo transito di emozioni accline dalla sapiente disposizione museale del Vittoriano porta il visitatore alla commozione davanti alla tomba del Milite Ignoto e, nello spazio di pochi passi, lo rinfocola con l’ampia sala centrale dedicata alle imprese dei MAS sotto il comando di Luigi Rizzo, eroe proveniente dalla città edenica di Milazzo, dolce promontorio di terra che tende e contende il suo destino verso il Tirreno insieme alle Eolie. L’enorme sala del Vittoriano, dunque, con le sue immense profondità ci getta in mare tra la salsedine e il rombo dei motoscafi, permettendoci di condividere l’ardimentosa avventura del MAS 15 con Luigi Rizzo, Armando Gori e Giuseppe Aonzo al largo dell’isola di Premuda. Un’esperienza che oggi definirebbero “sensoriale”, ma senza quei ghirigori moderni a far da tramite ai nostri sensi avviluppati nella tecnologia. Ivi v’è il metallo, l’odore del combustibile proveniente dai motori di chiara concezione automobilistica, le divise della Regia Marina tirate a lucido per l’occasione di stringere la mano alla Morte e, soprattutto, il Tricolore che sventola e non tocca mai il mare.
Il mare lontano
Tuttavia, il senso del marinaio che visita i suoi avi è annichilito da un fattore preponderante: il mare è troppo lontano. Dal Vittoriano all’Idroscalo di Ostia vi sono esattamente 31 chilometri. Senza il salmastro e il canto dei gabbiani, non si può replicare l’impresa. Eppure, a Milazzo, ciò potrebbe riaccadere. In questo caso – fortunatamente – non v’è alcuna corazzata austriaca da abbattere, ma l’ignominia del cosiddetto Homo oeconomicus contemporaneo che col colpo di spugna liberale cancella secoli di storia. Tuttavia, dai lidi ameni di Vaccarella, si erge uno storico che combatte con il medesimo ardimento del suo concittadino Luigi Rizzo per impedire che il milazzese più celebre possa essere condannato all’oblio.
La lotta di Massimo Tricamo

È una lotta quasi trentennale quella che Massimo Tricamo combatte affinché la memoria spirituale e materiale del Conte non venga smarrita tra la selva delle canne da pesca erette in occasione della quotidiana pesca mattutina lungo le rive levantine. Prima venne l’esposizione permanente nel 2005 presso il carcere femminile. Ancora prima, nel 2001, fu il turno della meravigliosa mostra nel Mastio del Castello in occasione del 50° anniversario della scomparsa di Luigi Rizzo. Dopodiché, perché all’orizzonte del Tirreno c’è sempre un anfratto dove ripararsi, nel 2017 venne inaugurato il punto espositivo al Porto di Milazzo, a pochi passi dal Palazzo comunale e dalla Guardia Costiera. Come ci racconta Massimo Tricamo, esso è “tenacemente aperto settimana dopo settimana, nei pomeriggi di giovedì e venerdì, ma anche il primo ed il terzo sabato del mese, dai nostri soci Vittorio Cernuto e Salvatore Salmeri”. Una continua migrazione, dunque, che ha sempre contraddistinto il destino dei marinai, ma che nulla dovrebbe avere a che fare con la memoria storica.
Rizzo e la sua Milazzo

Luigi Rizzo, la sua Milazzo e i suoi marinai del XXI secolo meritano di poter esplorare quel senso di cui dicevamo in precedenza. Far tornare il MAS 15, ad esempio, per destinarlo al luogo natio del suo condottiero sarebbe cosa buona e giusta. Gli spazi espositivi non mancano. Ogni città ha un suo mito fondativo che si perpetra negli usi e nei costumi dei suoi abitanti durante la sua storia millenaria e per questo è necessario combattere qualsivoglia pericolo contro l’oblio materiale sulla vita dell’eroe Luigi Rizzo.
Di sentimenti mazziniani, eroe della Grande Guerra, volontario fiumano e della Guerra d’Abissinia, deputato della Camera dei Fasci e Corporazioni, il conte di Premuda (dal 1932) ed Ammiraglio di Divisione Luigi Rizzo rientrò in servizio nel 1940 e si occupò della lotta antisommergibile nel Canale di Sicilia. Il 16 settembre 1943 il figlio ventiduenne Giorgio, sottotenente di vascello, rimase ucciso a Piombino sotto un bombardamento tedesco. Dopo l’8 settembre 1943 ordinò il sabotaggio dei transatlantici e dei piroscafi affinché non cadessero in mano tedesca. Per questo venne condotto in Austria, prima nel carcere di Klagenfurt e poi nel soggiorno obbligato a Hirschegg. Morì, a 63 anni, a Roma nel 1951 per un tumore ai polmoni.