
Pubblichiamo un estratto dell’intervista al cineasta Enrico Vanzina tratta dall’ultimo numero della rivista “Fuoco”, pubblicazione a cui abbonarsi tramite questo link.
Una domanda provocatoria, a bruciapelo, per rompere il ghiaccio. Memori del recente sciopero degli sceneggiatori di Hollywood, ci si chiede: l’intelligenza artificiale avrebbe potuto scrivere un film come Vacanze di Natale?
“No. No. Assolutamente no. Perché quel film è contro tutte le regole. L’intelligenza artificiale può fare delle cose interessantissime ed è pericolosissima ma una cosa non può fare. Ed è l’umorismo: quello non lo può fare, non lo può percepire. Non è spiritosa l’intelligenza artificiale”.
La Sua è una vita vissuta all’insegna del cinema, fin da piccolo, con quel regista leggendario di nome Steno, che lei chiamava ‘Papà’. Poi, sceneggiatore e produttore di tanti grandi successi, oggi film cult dell’italianità: film capaci di raccontare la parabola di vita, i problemi e l’ironia dell’italiano medio. Nel 2020 debutta anche alla regia con Lockdown all’italiana, nel 2023 riceve il David di Donatello alla carriera e il Leone d’Oro per meriti letterari… insomma, si può dire che Lei ha vissuto in prima persona i grandi cambiamenti nella storia del cinema italiano. Cosa e quanto è cambiato da quando ha iniziato ad oggi?
“Sono cambiate tante cose. Ma mi soffermerò principalmente su un aspetto che è quello più emblematico. È cambiato il concepimento del film, la nascita del progetto. Un tempo esisteva la figura del produttore, una persona che – pur non sapendo esattamente neanche lui perché – decideva di imbarcarsi con i propri soldi nel progetto del film. Questo cosa comportava? Quella persona, avendo messo i soldi, non solo era legata al film dall’investimento – e, quindi, sperava di rientrarci o di guadagnare – ma provava anche una specie di entusiasmo per il film: del resto, sulla fiducia ti aveva dato carta bianca – oppure poteva anche aver messo dei paletti, dipende – per inventare un film, scriverlo e poi realizzarlo. Il tuo primo fan era proprio lui, il produttore”.

Un esempio?
“Per strane vicende, Angelo Rizzoli produce La dolce vita, pur non capendo cosa stava facendo. Egli consiglia a Fellini di fare Incompreso, un romanzo che lui amava, e invece si ritrova a produrre un film che non ha neanche ben capito. Spesso si trovavano produttori innamorati di qualcosa che non capivano fino in fondo eppure, con la loro sapienza popolare, con la loro cultura media, percepivano dentro il film qualcosa che a loro interessava e che pensavano potesse interessare al pubblico. Ci credevano e, quindi, supportavano il progetto”.
Invece oggi non è più così…
“Oggi tutto questo è finito: non c’è più un solo film – un solo film, dico – che sia prodotto da un singolo signore che mette i suoi soldi. Oggi i produttori sono dei gruppi enormi, globali, spesso con dietro dei fondi: il cinema è diventato un vero e proprio investimento finanziario. Queste nuove figure appartengono a galassie che vanno sopra le nostre teste, che non hanno una faccia, non hanno un nome, non hanno una mentalità, non hanno un carattere e che investono nel cinema solo per affari. Producono un film – l’ennesimo dei tanti che producono – e le relative scelte sono spesso suggerite da un algoritmo oppure determinate da una situazione di forza sul mercato: così, sanno già che quel prodotto sarà adatto per l’interesse dei committenti, i più potenti broadcaster”.
Dunque, oggi è un sistema freddo e meccanico, senza passione?
“Non c’è più quel rapporto, chiamiamolo, artigianale tra persone. Oggi non c’è più quel sano attaccamento all’apprezzamento del film da parte del pubblico: i costi del progetto sono spesso già coperti in partenza, ci si guadagna qualcosa e poi, se il film va bene il guadagno aumenta, ma senza alcun trasporto per l’opera. È difficile che un film vada in perdita perché, tra sussidi statali e prevendite, il progetto sta in piedi… Ma tutto questo comporta che questi nuovi produttori impongono moltissime scelte sulla realizzazione del progetto: sanno che devono vendere ‘certe cose’ e hanno un esercito di persone che leggono e studiano, persone che sono molto meno capaci del regista, degli sceneggiatori ma che hanno il potere di spiegare al regista come si deve fare, secondo dei canoni tutti loro, che vanno oltre l’arte cinematografica. Questo è cambiato”.