E’ il 1968: un quarto della popolazione europea e degli Stati Uniti ha meno di 25 anni. Quindi succedono ovunque cose nuove. ;Ma non tutte logiche. Per esempio, esce il cofanetto di John Barth, due volumi dal titolo Il coltivatore del Maryland (Rizzoli) che presidiano scaffali e vetrine di librerie italiane (miriade, allora), bancarelle (idem), pubblicità… Ma i romanzi monumentali spaventano perfino il lettore abituale. Figurarsi quello saltuario.
Traduzione di Luciano Bianciardi
Non si è spaventato a tradurlo Luciano Bianciardi. Uno scrittore del suo calibro, che per ragioni alimentari fa il critico letterario del settimanale Abc (recensioni raccolte in Non leggete i libri, fateveli raccontare, Neri Pozza, 2022), esiterebbe a seguire il suo stesso consiglio per un romanzo che, in un certo modo, gli somiglia. Ci proverò io, più modesto recensore, ben disposto verso la satira, ma recalcitrante davanti alle 1.000 pagine riproposte in edizione Minimum Fax.
Coloni e nativi ridicoli e brutali
Nato nel 1930 nel Maryland e scomparso in Florida meno di un anno fa, Barth pratica la sua satira sulla satira di un poeta anglo-americano d’epoca coloniale: Ebenezer Cooke (1665-1732) , autore del poema The Sot-Weed Factor. Questo titolo è ripreso pari pari da Barth per il suo romanzo (sot-weed, erbaccia, era detto il tabacco) su vicende che portano Cooke a parodiare coloni, nativi americani, commercianti, inglesi, rozzi, ridicoli e brutali.
Digressioni, scambi di identità, impegno voltairiano, boccaccesco, rabelaisiano, sterniano di Barth, il suo virtuosismo, le intricate avventure del protagonista, i rapporti fra cattolici e protestanti, una certa aria pulp e nichilista hanno fatto parlare di questo romanzo (e di Giles ragazzo capra, Rizzoli, 1966) come uno dei più importanti del XX secolo e il più genuino fondamento della letteratura postmoderna.
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