
Ho letto con attenzione l’articolo di Danilo Breschi – forse lo storico più competente e intelligente della sua generazione – “Il trumpismo come malattia senile dell’estremismo (Il Pensiero Storico, febbraio 2025), ma non mi ha persuaso. Avrebbero potuto firmarlo – certo in un italiano molto meno elegante – firme note della stampa mainstream. E con questo, per citare l’immortale Peppino De Filippo in Totò Peppino e la malafemmina, “ho detto tutto !”.
Quanto scrive Danilo Breschi su Trump è ineccepibile. Tra l’altro, ha fatto bene a ricordare l’assalto a Capitol Hill, una delle pagine più nere della storia nordamericana. E tuttavia milioni di elettori lo hanno rimosso, dando una valanga di voti al tycoon. Forse questo ci dice che la crisi attraversata dagli Stati Uniti è così profonda e le divisioni sociali, politiche, economiche così laceranti, che si è passati sopra la legalità, in nome di una legittimità rivoluzionaria, per ora solo pacifica.
Becchi, Carrino, Di Rienzo, Marsonet
Il punto, però. è un altro. “Con occhio chiaro e con affetto puro” – mettendo da parte demonizzazioni di chi non la pensa come noi e accuse di filo-putinismo, spesso sopra le righe – dobbiamo prendere atto che la political culture italiana è profondamente divisa sull’Ucraina. Sui giornaloni leggiamo le tesi dei benpensanti, ma conosciamo quelle dei malpensanti solo dalle sintesi che ne fanno i primi e anche questo dovrebbe indurci a riflettere. (Con l’eccezione di Massimo Cacciari e di Alessandro Orsini, in quale talk show abbiamo sentito i pareri di studiosi come Agostino Carrino, Paolo Becchi, Eugenio Di Rienzo, Michele Marsonet etc. etc?)
Punti da chiarire sull’Ucraina
Nell’opinione pubblica italiana si hanno idee diverse, molto diverse, su quanto sta accadendo in Ucraina. E in particolare:
– sulla figura di Volodymir Zelensky;
– sulla “democrazia in Ucraina” ;
– sul tipo di Stato che è l’Ucraina (nazionale o multietnico?)
– sulla data di inizio delle ostilità russo-ucraine (2014 o 2022 ?);
– sulle cause della guerra;
– sugli scopi di guerra dei governi che hanno sostenuto (e sostengono ancora) Kiev;
– sulla necessità di estendere la Nato ai confini russi (“Il cane che abbaia alle porte di casa”, riprendendo la metafora di Papa Francesco);
– sulla legittimità delle sanzioni economiche (che – nel caso del regime fascista – ebbero solo l’effetto di rafforzarne il consenso).
– sulla pace auspicabile.
Quando il gioco si fa duro…
Alla Casa Bianca non si crede più al “racconto” di Biden (da molti accusato di aver voluto mettere in ginocchio il gigante russo per interposta persona) e si hanno tesi spesso opposte sui punti sopra elencati. Vogliamo prenderne atto o continuare a denunciare il tradimento dei valori atlantici da parte di Trump e di Vance? Il gioco si sta facendo assai duro e l’amministrazione repubblicana interpreta l’interesse americano in modo differente da quella democratica.
Ora si gioca a carte scoperte e gli interessi degli Stati Uniti non vengono più contrabbandati ideologicamente come interessi del Genere umano. Ma si torna al Far West in un mondo in cui, al di fuori della placida Europa occidentale, i morti ammazzati sotto le bombe, gli Stati cancellati con un tratto di penna, le città in macerie (i prodotti dalle guerre umanitarie in Siria, Iraq, Libia, Afghanistan) impongono al vento della Realpolitik di cambiare direzione.
Bisonti americani, pecore europee
Anche a me ha fatto pena Volodymir Zelensky massacrato da Trump nello Studio Ovale. Anch’io sono rimasto colpito dal fatto che si discutessero gli arcana imperii davanti alle telecamere. Il leader ucraino – vestito, al solito, da militare al fronte, tenuta irresistibile per leader europei affetti da romanticismo politico – si è rivolto a due bisonti dei Great Plains (Donald Trump e J. D. Vance), come se avesse davanti due pecore europee, Ursula von der Leyen ed Emmanuel Macron: ha detto di non aver fiducia nei negoziati con Putin, ha ammonito gli Stati Uniti che loro, un domani, della strategia di Putin potrebbero essere vittime. C’è mancato poco che parlasse anche lui dei cavalli cosacchi abbeverantesi a Fontana di Trevi. Pensava forse di riciclare il suo discorsetto edificante per un editoriale di Repubblica?
Pace giusta e minoranze russe
L’uomo, che fino a ieri tuonava che non un centimetro quadrato di nazione ucraina (avrebbe dovuto dire di territorio dello Stato sovrano ucraino) sarebbe stato ceduto all’invasore, non ha fatto accennato a ciò che intende per pace giusta, né al destino delle minoranze russe, che vivono in Ucraina.
Per un politico collerico, aggressivo, barbarico come Trump – al quale interessa solo l’America First (il resto del mondo s’arrangi) – c’era motivo per uscire dai gangheri. Ed è ciò che è successo, aprendo un’era di grandi incertezze e di fondati timori per l’Europa, unica parte del pianeta interessata alla vicenda ucraina.