
È nelle librerie, per i tipi di Mimesis, l’opera capitale di una delle figure più rilevanti, ma meno note e studiate, della filosofia medievale. Ci riferiamo a, Il libro delle opere divine, di Ildegarda di Bingen (per ordini: mimesis@mimesisedizioni.it, 02/24861657). Il volume raccoglie, in un Prologo e in due parti, dieci “visioni” della contemplativa considerata, dalla vulgata esegetica prevalente, sic et simpliciter, “mistica” cristiana. La lettura del testo mostra, al contrario, soprattutto nei “commenti” di Ildegarda alle “visioni”, che la sua personalità è molto più complessa. Fu, di certo, una mistica, seppur in possesso di una cultura fuori dal comune, non solo filosofico-teologica, ma anche, per l’epoca in cui visse, “scientifica”. Il suo sapere fu enciclopedico, integrale: da un lato, annunciava, anzi tempo, il gusto umanistico nel rintracciare relazioni tra micro e macrocosmo, mentre dall’altro, in forza di una straordinaria capacità di sintesi, si fece latore di un cristianesimo, al pari di quello francescano a lei succedaneo, atto a recuperare la physis, la centralità della natura. Il volume è impreziosito dalle Tavole miniate contenute nel manoscritto n. 1942, conservato presso la Biblioteca Statale di Lucca, che permettono al lettore di avere proficuo accesso al multiforme mondo simbolico dell’illuminata studiosa.
Per entrare nelle vive cose della trattazione di Ildegarda, è necessario aver contezza che le “visioni” furono trascritte nel decennio che va dal il 1163 al 1174. Periodo cruciale nella vita della pensatrice, impegnata nella fondazione del monastero di Eibingen e nella redazione della Vita di San Disibodo. Inoltre, nel medesimo frangente temporale, la donna affrontò la morte del fedele segretario Wolamr, valido aiuto nella stesura de, Il libro delle opere divine. Dopo il luttuoso evento, il volume fu terminato grazie al contributo del nipote della badessa, Wezelin, e di Ludovico di Sant’Eucario. L‘opera può essere considerata una risposta, teoricamente assai potente, al conflitto che, con Federico I, stava contrapponendo la Chiesa all’Impero. Al magistero spirituale di Ildegarda aveva guardato con interesse lo zio di Federico, Corrado III. In forza di tali rapporti con l’autorità imperiale, la mistica si sentì indotta a inviare epistole accorate all’Imperatore, perché questi sanasse il conflitto in essere. Le tensioni del papato nei confronti di Fedrico I avevano portato all’assassinio dell’arcivescovo filo-imperiale di Magonza, città non distante da Eibingen.
Il richiamo a Giovanni evangelista
Fin dall’incipit dell’opera, inoltre, Ildegarda dichiara la propria ispirazione giovannea. Giovanni evangelista, al pari della pensatrice, aveva fatto discendere nella propria anima l’ispirazione divina, nutrendosi della profondissima rivelazione che sgorga dal cuore del Cristo, dio incarnato, potente e sofferente, che si è fatto uomo per salvare il mondo. L’impianto giovanneo del libro è mirato a fornire una risposta forte allo gnosticismo dualista, in quel tempo tornato prepotentemente sulla scena con il bogomilismo e con la dottrina catara.
I commenti alle “visioni” (indotte da un’accentuata sensibilità psichica e, stando a certi interpreti, risultato anche delle potenti emicranie che affliggevano la monaca), sono articolati da Ildegarda con continui rimandi ad Agostino, Boezio, Giovanni Scoto Eurigena,e alla Scuola di Chartres. Nella prima “visione” emerge una figura splendente di oro e di rosso, simboleggiante una vera e propria visualizzazione immaginale e non logocentrica della conoscenza, richiamante la dottrina stoica del fuoco, energia atta a preservare l’armonia mundi. Il Lógos è identificato con il pneuma, soffio infuocato, anima del cosmo. L’espressione chiave al fine di interpretare il mondo ideale della mistica è viriditas, “energia verdeggiante”. La nozione fa rilevare l’intenzione teorica dell’autrice: scendere in profondità all’interno delle metamorfosi naturali per cogliervi, con Dionigi l’Aeropagita, il principio animate, la sua “non-forma”. Una sorta di “razionalità biologica” sempre all’opera. Agostino aveva, del resto, insegnato che il: «generarsi del pensiero nel linguaggio, costituisce modello privilegiato per comprendere la generazione del Padre nel Verbo» (p. 13). La parola divina si manifesta nel duplice ordine della natura e della Scrittura, per questo Ildegarda scrive, testimonia il Verbo e, con Eurigena, interpreta, anti dualisticamente, in modalità cosmologico-antropologica il Prologo di Giovanni. Il Verbo, in queste pagine, ha tratto naturale, “fiorisce”, “ri-suona” in tutti gli enti.
Lo Spirito Santo
Al modo dei Maestri di Chartres, in Ildegarda lo Spirito Santo assume valenza di connectens, è nexus che lega il trascendente all’immanente. Non si tratta ancora di panteismo in quanto, a dire della pensatrice visionaria, vi è una distinzione tra la prescienza di Dio: «nella cui eternità è fondata, platonicamente, la realtà delle cose, e il successivo apparire dell’opera divina nel tempo» (p. 19). Certamente, tali tesi, rappresentano un momento di innesco di una nuova prospettiva teoretica portata a compimento durante la Rinascenza. Ildegarda, da interprete fedele di Giovanni, rinvia, inoltre, alla dimensione soteriologica, alla teologia della storia, in una prospettiva per certi tratti non dissimile da quella di Gioacchino da Fiore. Lo si evince dalla parte conclusiva del volume, anche se il tema escatologico emerge, in tutta evidenza, già nella prima “visione”. In essa, l’itinerario verso il nulla di Lucifero, angelo ribelle, è simbolicamente rappresentato in una circonferenza di oscurità e male, mentre la paternità divina è visibile in una diversa circonferenza, “circolo di pienezza”. L’apertura al “naturalismo” è innegabile nella seconda “visione”. In queste pagine, i venti animano l’uovo cosmico originario (tradizione orfico-pitagorica), trasferendo il “soffio vitale” al mondo. Ogni vento riveste una particolare valenza simbolica, in un cosmo sacralmente orientato e animato, dall’interno, dal principio.Medesimo ruolo giocano gli animali-simbolo, leopardo, lupo, leone e orso, così come il firmamento.
L’uomo cosmico
L’uomo cosmico di Ildegarda è copula mundi: il suo agire può avere esiti anagogici o catagogici. Il monaco è paradigma di tale cosmicità. Un monachesimo, quello della badessa, lontano dal rigorismo ascetico, aperto al “femminile” e al”generativo”, capace di veicolare verso l’alto gli impulsi meramente “biologici”(come statuito dalla Regula Benedicti, cui l‘autrice guarda quale positivo esempio di azione nel mondo), non contrastando, in toto, la realtà corporale della vita. Ildegarda è alla ricerca della giusta misura tra contemplazione e azione. La sua filosofia rappresenta un anello di rilevo in una corrente carsica del pensiero europeo che fiorirà nel Rinascimento con Bruno e si riaccenderà nella mistica di Böhme e di von Badeer, per riaffacciarsi nella filosofia del Novecento, in particolare italiana.
Il libro delle opere divine di ldegarda di Bingen, animato da non comune potenza linguistico-affabulatoria, è opera di spessore, sulla quale bisognerà tornare a riflettere.