Nel panorama letterario francese del XX secolo, pochi scrittori incarnano la complessità ideologica e artistica di Jean Turlais, figura controversa e sfuggente che attraversò il turbolento periodo dell’occupazione tedesca con una traiettoria tanto affascinante quanto ambigua. “Tutti ‘fascisti’: da Omero a Jean Genet”, il saggio che porta la sua firma, costituisce un’opera di grande interesse, tanto per il suo contenuto erudito quanto per le provocazioni che solleva.
Il libro si configura come un’archeologia intellettuale, un tentativo di tracciare un filo conduttore tra autori apparentemente distanti tra loro, uniti da una visione del mondo che Turlais interpreta come profondamente estetica, ancor prima che politica. Dalla classicità di Omero alle inquietudini novecentesche di Jean Genet, passando per Corneille, Stendhal, Kipling e Drieu La Rochelle, l’autore compone un mosaico in cui il fascismo non è inteso tanto come una dottrina monolitica, bensì come una tensione ideale verso un ordine eroico, una sublimazione della vita nell’arte e nell’azione. In questa prospettiva, il fascismo non si configura come un mero programma politico, ma come un atteggiamento esistenziale, una sensibilità tragica che permea la produzione di alcuni autori, spesso al di là delle loro stesse intenzioni dichiarate.
L’opera di Turlais si inserisce in un contesto culturale denso e stratificato, nel quale il giovane intellettuale si muove con disinvoltura tra letteratura, teatro e politica. Già negli anni della sua adolescenza, il suo coinvolgimento nei Lycéens bonapartistes testimonia una precoce fascinazione per le grandi narrazioni nazionali. La sua esperienza teatrale con il gruppo “Prétexte” e la collaborazione con riviste quali “Idées” e “Les Cahiers français” lo pongono al centro di un milieu intellettuale effervescente, frequentato da personalità di spicco come Jean Cocteau, Antoine Blondin e lo stesso Jean Genet. Le sue recensioni teatrali e i saggi letterari denotano una scrittura densa, ricca di riferimenti e suggestioni, capace di spaziare con naturalezza dall’epica classica alla poesia simbolista, dal romanzo d’avventura alla tragedia greca.
Turlais, però, non si limita a essere un mero osservatore o un commentatore del proprio tempo: la sua traiettoria biografica è il riflesso di un’anima inquieta, combattuta tra fedeltà ideali e una costante ridefinizione della propria identità politica. Il suo entusiasmo giovanile per la restaurazione della grandezza francese lo porta a un’adesione iniziale alla Milice française, ma il successivo impegno nella liberazione di Parigi con la 2ª Divisione corazzata suggerisce una tensione irrisolta tra collaborazionismo e resistenza. La sua morte prematura sul fronte alsaziano, nell’aprile del 1945, aggiunge un alone tragico alla sua figura, consegnandolo alla storia come un enigma, un’ombra fugace in un periodo dominato da scelte radicali e definitive. Alcuni lo considerano un opportunista, altri un idealista inquieto, incapace di aderire fino in fondo a una sola bandiera.
L’interesse maggiore del saggio di Turlais risiede proprio nella sua volontà di problematizzare l’adesione degli intellettuali a una visione fascista della letteratura. Egli non ignora gli autori dichiaratamente fascisti, ma preferisce inserire nel proprio canone personalità che, per sensibilità e stile, incarnano un senso di ordine e bellezza che egli associa alla “rivoluzione fascista”. La sua definizione del fascismo come “vacanza della vita”, mutuata da Bernanos e Malraux, suggerisce una lettura gioiosa e avventurosa della storia, una prospettiva che sembra eludere le implicazioni più brutali della realtà politica. Il fascismo di Turlais non è tanto quello delle dittature storiche, quanto un’idea astratta di disciplina, armonia e trascendenza, una sorta di classicismo riscritto in chiave moderna.
Non sorprende, dunque, che la ricezione del libro sia stata accolta con una certa freddezza sia negli ambienti della destra maurrassiana sia in quelli della sinistra comunista. Se, da un lato, l'”Action française” lo accusa di tradire l’ortodossia nazionalista, dall’altro il Partito Comunista, con figure come Claude Roy, non manca di deridere l’assunto paradossale di un fascismo estetico e letterario. Eppure, la visione di Turlais anticipa in qualche modo il “romanticismo fascista” che Paul Sérant avrebbe esplorato anni dopo, confermando l’intuizione che il fascismo, prima di essere un programma politico, sia stato anche un fenomeno culturale, un’idea di stile e di vita. L’eco delle sue riflessioni si ritrova anche in autori successivi, che, seppur distanti dalle sue conclusioni, hanno continuato a interrogarsi sulla dialettica tra estetismo e potere.
Un capitolo a parte merita il rapporto con Jean Genet, personalità che incarna, più di ogni altro, la tensione tra ordine e sovversione. Se l’amicizia tra Turlais e Genet nasce in un contesto di fervore intellettuale e teatrale, la successiva evoluzione di Genet verso una militanza politica radicalmente opposta segna un distacco inevitabile. L’inclusione di Genet nella “storia della letteratura fascista” viene da quest’ultimo bollata come “profondamente ridicola”, ma testimonia la volontà di Turlais di riunire nella sua visione artisti mossi da una simile urgenza espressiva, al di là delle loro scelte politiche. In fondo, il fascino di Genet per il crimine e la trasgressione, la sua esaltazione dell’eroismo tragico, per quanto declinata in una direzione opposta, non è forse una variazione dello stesso impulso che animava le figure eroiche celebrate da Turlais?
In definitiva, “Tutti ‘fascisti’: da Omero a Jean Genet” rappresenta un testo di straordinaria complessità e ambiguità, capace di offrire un affresco intellettuale sfaccettato e provocatorio. Se da un lato la sua tesi centrale può apparire forzata o persino volutamente paradossale, dall’altro non si può negare la profondità dello sguardo di Turlais, che coglie nella storia della letteratura una tensione costante tra libertà creativa e aspirazione all’ordine. L’autore emerge così come una figura controversa, ma irriducibilmente affascinante, il cui pensiero continua a suscitare interrogativi sulla natura dell’arte e sul rapporto tra ideologia e creazione letteraria. La sua eredità rimane irrisolta, oscillante tra un’intuizione geniale e un’ambiguità irredimibile. Con il passare dei decenni, il suo nome continua a essere oggetto di dibattito accademico, con alcuni che vedono nel suo lavoro una lettura innovativa della tradizione letteraria, mentre altri lo considerano un interprete fin troppo compiacente di un’estetica pericolosa e ideologicamente ambigua.
*Tutti “fascisti”: da Omero a Jean Genet, di Jean Turlais. A cura di Giovanni e Giuseppe Balducci. (Oaks Editrice. – 2024: pagg. 162 – euro 16,00), acquistabile qui