Il settimo appuntamento della stagione di Teatro Contemporaneo 2024/2025 del Teatro del Sangro/Teatro Studio a Lanciano/Treglio. In scena “Il Dono” da F. Garcia Lorca, regia Massimo Massari (produzione Generazione Teatro – Milano ).
Anche soltanto dalla lettura dei testi di Federico Garcia Lorca ci si accorge dell’aspetto onirico e magico di cui sono intrisi. Ancor più, dalla visione delle rappresentazioni sceniche, si coglie tutta la dissonanza e l’amarezza delle vicende trasmesse, come nel caso de “Il Dono” della compagnia Generazione Teatro di Milano.
Lo spettacolo, andato in scena al Teatro Studio di Lanciano/Treglio lo scorso 9 Febbraio, è l’interpretazione registica de “La casa di Bernarda Alba” di F. G. Lorca da parte di Massimo Massari. Prestando fede allo stile già asciutto e sintetico dell’autore, il regista sceglie di operare un ulteriore taglio narrativo. Il fulcro semantico, quindi, passa dalle parole al corpo. Questo passaggio è introdotto già sul buio iniziale, riempito da gemiti, sospiri, pianti e risa: le emozioni animalesche entrano in scena nella loro componente uditiva.
Le luci, poi, si alzano sul personaggio di Pepe il romano, che Massari sceglie di mostrare in scena – discostandosi in questo dal testo – e che interagisce con il pubblico. Lo sfondamento della quarta parete, tipico del contemporaneo, rende ancora più inquietante l’approccio dello spettatore al mondo della vicenda. Si tratta della Spagna rurale degli anni trenta in cui Lorca ambienta la sua trilogia (formata da, oltre a questo testo, “Yerma” e “Nozze di Sangue”), incentrata sul ruolo della donna e della sua sottomissione.
In queste opere, i personaggi femminili aspirano all’amore e lottano e si ribellano contro le ipocrisie della società del tempo, scegliendo, in alternativa allo squallore e alla miseria, la disperazione e la morte. Le attrici, infatti, formano un coro, ma diverso dai cori tragici classici: all’interno del gruppo esse non perdono le proprie individualità e passano dall’insieme al singolo e viceversa durante tutto lo spettacolo.
La vestizione della madre, Bernarda Alba, è il rituale sacrale attraverso cui viene svelata la simbolica “bara bianca”, fatta di petali, posizionata nel proscenio. Essa è immagine e prefigurazione del finale tragico.
Gli aspetti cromatici sono predominanti in questo adattamento: si passa dal contrasto bianco e nero, creato dagli abiti funerei delle donne, fino ad arrivare all’inserimento del rosso e del verde. Il rosso, delle mele e del ventaglio, non è soltanto il simbolo della passione e del peccato, ma ha anche una componente di potere, di possibilità decisionale: dapprima divorarlo è tossico, ma poi digerirlo restituisce alle figlie lo scettro del potere della madre.
Il verde rappresenta la devianza, la novità, la vanità non dell’apparire, ma del concedersi il lusso di decidere per se stesse. In questo quadro sociologico, di oppressione femminile, non c’è spazio per alcun colore di rinascita, di speranza, di libertà: chi indossa l’abito verde è destinato a desistere o a soccombere. Qualsiasi altra differenza viene zittita ad arte: le bocche vengono cucite fisicamente in scena.
Questa chiave di lettura concreta e materica, è il modo in cui il regista rappresenta l’allegoria del tempo, contenuta nel testo di Lorca: il contrasto tra l’ansia di amare e la mancata realizzazione del sentimento provoca affanno e soffocamento, una prigione in cui manca l’aria. Non basterà per le protagoniste sventagliarsi senza sosta. Finiranno per arrendersi all’anaerobiosi della casa della madre, riproducendo gli stessi meccanismi di oppressione.