
Nel sogno e nelle metamorfosi di La Tour de glace, in concorso alla Berlinale, la regista francese Lucile Hadžihalilović intreccia fiaba, incubo e riflessione anche metacinematografica, rielaborando La regina delle nevi di Hans Christian Andersen, in una storia di formazione, entro un’atmosfera algida e visionaria.
Il film si sviluppa intorno alla piccola Jeanne (Clara Pacini), adolescente segnata dalla perdita della madre, che fugge da un orfanotrofio tra le montagne innevate, per ritrovarsi in una cittadina negli anni ’70 del ‘900 (gli esterni sono girati in Alto Adige).
Qui, una notte, s’intrufola in un emporio attraverso una finestra e si addormenta su un cumulo di cenci. Al risveglio si accorge di essere in un teatro di posa e sul set di un film, dove si gira proprio l’adattamento della sua fiaba preferita.
La regina di ghiaccio
Affascinata da un mondo scintillante e irreale, ma insieme tutto materico con cavi e macchinari di scena, la ragazzina è colpita dalla diva (Marion Cotillard) e comincia a spiarla. È proprio lei la Star in cui immedesimarsi: capricciosa, respingente e per quanto la sua bellezza sia fredda – perfetta per quel ruolo – porta di fatto il magnetismo enigmatico, che una vera Donna destinata al grande cinema ha.
Come per magia e ancora in balia del caso, la ragazzina finisce comparsa del film in cui è inciampata, ma il gioco della finzione si complica: attratta dall’ambigua Star, ne resta coinvolta in una relazione intensa e tormentata. È come trovarsi soggiogata dalla vera regina di ghiaccio, con quel fascino inaccessibile e manipolatorio.
Tra scintillio, sogno, bellezza e luci, la piccola resta intrappolata nella sua torre di ghiaccio, dalla quale potrebbe uscire – è tutto posticcio – ma non vuole, perché il sogno svanirebbe. Nulla è più grande del cinema, che di fatto è la gabbia dorata più ambita di sempre.
Ben lontano dal pathos Disney
Così Lucile Hadžihalilović, con intelligenza critica, asseconda il grande sogno incastonato nel suo universo, dove ogni promessa porta con sé una minaccia e ogni illusione diventa disillusione. L’estetica del film è nebbie, cristalli di ghiaccio e tempeste di neve. Giochi di luce, riflessi e frammentazioni caleidoscopiche disorientano lo spettatore. Pure il paesaggio, con la sua natura spettrale ed eterea, diventa elemento chiave nella narrazione, rafforzato da un sound inquietante e da effetti amplificatori di straniamento. Siamo ben lontani dal dolce pathos della Disney.
Rielaborare il trauma
La Tour de glace si presenta come un racconto oscuro e stratificato, pensato per un pubblico adulto e arricchito da elementi orrorifici, simbolismi onirici e il tema della rielaborazione del trauma. In questo scenario, Clara Pacini emerge con forza: al suo personaggio regala una miscela ipnotica di serietà silenziosa, malinconia e stupore infantile. Una vera prova d’attrice nelle mani di una brava regista.
Marion Cotillard incarna con eleganza la Diva, mentre in ruoli secondari troviamo August Diehl (tra gli attori tedeschi più belli della sua generazione) e Gaspar Noé, argentino, compagno nella vita della protagonista.
*Da Denouement