
Berlino – La medusa è in balia delle correnti, non ha colpa se, nuotando, ne sfioriamo i filamenti urticanti. Per evitarli, bastano esperienza e attenzione. È il senso poco profondo di Hot Milk, della regista inglese Rebecca Lankiewikz, in concorso alla Berlinale, che si chiuderà il 23 febbraio.
Trasferitasi con la madre divorziata (Fiona Shaw) in una città costiera spagnola, nei pressi di un centro di riabilitazione psicosomatica, la giovane Sofia (Emma Mackey) porta con sé il rancore di un rapporto irrisolto. La ragazza deve scendere a patti con tenerezza e insofferenza. La madre, sulla sedia a rotelle, non cammina per motivi autoindotti: da decenni bloccata, incede di tanto in tanto – senza alcuna spiegazione oggettiva – all’improvviso; poi si paralizza in stato di depressione ansiogena, vessando Sofia, priva di sfoghi e asservita all’insultante madre.
Odio per la gemella
In preda delle correnti, tra i marosi di un’esistenza infelice, in acque basse è a contatto coi filamenti urticanti. Lì un giorno conosce una donna, accattivante e misteriosa (Vicky Krieps), di cui si innamora. E sprofonda in un abisso d’amarezze, perché lei – bisessuale – va con chiunque, la manipola e la cerca solo se ne ha voglia. Finché un giorno le confida di aver cerebroleso la gemella, sull’altalena, facendola cadere.
Un altro rapporto al veleno, che non stempera – nella gioia di una relazione – le profonde ferite. Sofia diventa nevrotica, irascibile, taciturna. Nel centro di riabilitazione dove la madre è in cura, il medico (Vincent Perez), scavando nel passato della donna, scopre blocchi nervosi e non patologici, quindi vane solo le cure ricevute a Londra. Lei potrebbe camminare, ma vuole restare un caso irrisolto, tenendo legata per pietà la figlia. Finché Sofia, esasperata, va ad Atene dal padre, sperando che l’aiuti a scavare nei misteri della madre. Anche questa è una strada senza sbocco.