C’era una volta un mago un po’ bislacco, tre fanciulle birichine e una casa incantata con tanti animali e tante guepiere. Il mago di questa favola è Riccardo Schicchi.
L’inventore del porno italiano, l’Adamo che mette il nome pornostar alle bionde fanciulle Ilona Staller, Moana Pozzi ed Eva Henger, il visionario pop che fece di tette e culi feticci culturali, condannato dalla morale pubblica, dalla finanza, dall’invasione digitale e dal diabete a chiudere a 59 anni una vita a dir poco singolare e un’esperienza sulla quale è caduto una specie di oblio. Come quelle epifanie, tutte italiane, spente dal moralismo ipocrita, dal perbenismo cattoborghese, dal conformismo bipartsan. Fino a quando Giulia Louise Steigerwalt, regista e autrice del film Diva Futura, affida a Pietro Castellitto il ruolo di Riccardo Schicchi.
Imprevedibili, vorticosi, colti, sensibili e sfrontati: l’attore e il suo personaggio. Castellitto si è imposto nella scena cinematografica italiana con personaggi dolceamari, sempre tratteggiati di umorismo, sospesi tra il sogno e il nulla mentre il reale urge e sfregia: pensiamo a Cencio il ragazzo degli insetti di “Freaks out” o al medico radical chic di “I predatori” fino a Enea del film omonimo da lui diretto, lo spacciatore violento e nichilista. Pietro Castellitto veste i suoi personaggi con la faccia da cui sbucano occhi prensili pronti a catturare lo spettatore dopo aver già ingoiato il personaggio, con mani eleganti con le quali afferra le battute, con il naso poetico, cyranesco. Ancora una volta Pietro Castellitto dà prova della frangibilità della parete tra attore e personaggio: via il trucco, entra l’attore. Riccardo Schicchi rivive nell’interpretazione di Castellitto con il carico della sua sgangheratezza involontaria.
La forza e la debolezza di Schicchi risiedevano nell’idea rivoluzionaria di tradurre l’utopia dell’amore libero con il sesso merlettato. Frantumati entrambi. Prima che dallo sfacelo delle droghe e dalla fine della guerra del Vietnam, la rivoluzione sessuale dei figli dei fiori morì per l’insospettabile harakiri della filosofia di “All you needs is love” andata a sbattere sul pronome: solo il sesso ha il plurale allargato, per l’amore è necessario il noi. Docet lo stesso Schicchi, più yuppie che hippie: impedì quanto potè alla moglie Eva Henger di girare film porno, perché l’amava e voleva sottrarla alla volgarità del promiscuo. Poi la volgarità e la bassezza del mercato dei video pornografici stritolò la bellezza salvatrice di Schicchi, un Fëdor Dostoevskij del sesso. Ma non è con le armi della morale che bisogna leggere Schicchi e Diva Futura.
“Noi siamo amorali, non immorali” è la battuta manifesto del film, che racconta attraverso con un gioco di flashback le vite incrociate di Riccardo Schicchi e di Ilona Staller (Lidija Kordic) che fondano l’agenzia, l’amore di Schicchi ed Eva Henger (Tesa Litvan) e soprattutto la storia di Moana Pozzi (Denise Capezza supera in bellezza Moana e rende omaggio con la sua perfetta interpretazione al suo dolore di donna). Dove amoralità riecheggia il principio nietzschiano, tanto caro a Castellitto, di esaltazione dei principi vitali avulsi dagli impulsi inferiori dell’uomo.

Nel film colpisce il compito di servo muto dato al sesso. Le stesse scene di accoppiamento sono imprigionate nell’inconsistenza e nella pietà. Il corpo ha una presenza assenza, vive nella distanza prospettica della favola. Ma questo regge fino a un certo punto. Giulia Louise Steigerwalt sembra essersi lasciata prendere la mano nel mettere il velo a ciò che per definizione è senza velo: il mondo del porno. Dove per velo si intende una patina di paradosso alla storia dell’agenzia Diva futura pioniera del mercato della pornografia nell’Italia che traghettava il ‘900 negli anni 2000: l’agenzia Diva Futura viene fondata nel 1986 e Scicchi muore nel 2012. Esibizionismo e tecnologia, craxismo da bere e berlusconismo sculettante, il sogno del liberismo e la proiezione nel futuro, la liberazione sessuale e il bigottismo cattolico. Tutto questo rimane, assieme ai coiti, smarginato sullo sfondo al film di Steigerwalt eppure vorrebbe esserne la ragione.
Tratto dal romanzo autobiografico di Debora Attanasio (nel film una sempre brava Barbara Ronchi), Diva Futura ha l’ambizione di sdoganare gli sdoganatori del porno, di collocarli dentro un non tempo in cui la testimonianza si fa giocoforza paradosso. Così il film nella seconda parte smette reggicalze e merletti e le grandi tette perdono l’allegria. Il paradosso sgrana i colori: la visionarietà di Schicchi che nell’amplesso vedeva la bellezza nonostante il tintinnare della moneta e i locali a luci rosse, dove le ragazze si prostituivano e i parroci si masturbavano, cede il passo alla violenza dei gusti della rete, al desiderio di un impossibile riscatto delle pornodive. Schicchi di Castellitto pare non avvedersi appieno di tutto questo. Resta lì: meravigliosamente imbambolato dentro le scarpe bisunte, in mezzo alla corte di animali domestici compreso il topo che uccide il pitone di Cicciolina, nelle tasche l’idea di cambiare le regole con le armi dell’arrapamento e in testa il sogno di portare il sesso in politica. A proposito, avrebbe meritato più spazio l’avventura politica di Schicchi che fonda il partito dell’Amore e porta in Parlamento Cicciolina. Chi ricorda il divertito scandalo di quella elezione, quel laboratorio dell’incongruenza oggi così attuale di certa rappresentanza? E viene da chiedersi se l’ambizione della regista è quella di far riflettere sulla condizione femminile, sulla proprietà del corpo della donna, sul pudore del corpo. Perché Diva Futura vive su un altro paradosso: è un film sul pudore e pieno di pudore. Schicchi, un anti Chinaski: chi l’avrebbe detto?
Diva Futura, regia Giulia Steigerwalt, con Pietro Castellitto, Barbara Ronchi, Denise Capezza, Tesa Litvan, Lidija Kordić, Davide Iachini, Marco Iermanò (Distribuzione: PiperFilm. Durata: 120′)