Ecco il ritorno del maestro Vivarelli. Lo aspettavamo con sincera trepidazione. Per chi lo segue quotidianamente sul suo profilo Facebook, ogni giorno compie una scoperta. “La gru degli imberesinati”, ovvero storie di cosacchi, traduzioni di Céline e ponti metafisici, ci pone davanti – ancora una volta – a una Venezia che in pochi conoscono. Anzi, che soltanto il maestro Vivarelli distingue e che, con i tipi del Tridente, ci permette di viverla appieno in questo transito editoriale.
Spiegare l’opera in questo articolo sarebbe riduttivo e non renderebbe il meritato onore all’ennesima fatica del Vivarelli. Possiamo provare a contestualizzarla, a viverla seguendo la sua penna e la ritirata tragica delle forze dell’Asse dalla Russia sovietica. In questo libro, la Kosakenland si lega indissolubilmente ad Aldo Manuzio e il “Festina lente” che lo ha reso celebre. È un “affrettarsi lentamente” quello dei cosacchi inquadrati nella XV SS-Kosaken Kavallerie Korps comandata da Pëtr Nikolaevič Krasnov che, nell’estate del 1944, colsero la laguna di sorpresa con la loro arte e le loro tradizioni.
I gondolieri, increduli per questa gru costruita in pochissimo tempo grazie al genio di un sergente cosacco, ragionarono a lungo sul significato di essa. Anche la Venezia d’un tempo, quella della nobiltà, si alternò tra lo stupore e la rabbia. Perché questa fatica se poi verrà demolita una volta riportata all’Arsenale? Ed ecco il tocco di genio: un’ancora con un cetaceo aereo in gomma per omaggiare il genio di Aldo Manuzio. L’opera di carpenteria edile venne subito rivalutata, ma il tempo dei veneziani non scorreva allo stesso modo di quello dei cosacchi. La gru degli imberesinati venne smontata e il materiale di costruzione utilizzato per pura sopravvivenza. Come si può spiegare questo sogno dell’edilizia cosacca in terra veneta nel bel mezzo dei combattimenti con le formazioni partigiane? Si può soltanto immaginare un finale leggendo e rileggendo, magari provando a disegnare un futuro per la gru tra le pagine bianche del libro, l’opera del maestro Vivarelli.