
Willliam Butler Yeats nasce nel 1865. Muore nel 1939. Nel 1923 riceve il premio Nobel per la letteratura. Se si guarda la data, si nota che il Nobel è soprattutto il riconoscimento che in quell’anno l’Irlanda è (quasi) sovrana tra le nazioni. Ci vorrà un regista inglese atipico, Ken Loach, per raccontare nel Vento accarezza l’erba (2006), di che lacrime e di che sangue, anche di fratelli, sia fatto il Risorgimento degli irlandesi. Studiosa della letteratura, firma de Il Giornale, poi di Avvenire, Rosita Copioli intitola il suo più recente lavoro William Butler Yeats. Omero in Irlanda (Ares, euro 25).
Yeats e lei, signora Copioli. Una “coppia”?
“Sì. Me ne ‘innamorai’ nei primi anni ’80, come poeta, ma…
… Ma?
“… A folgorarmi furono i suoi saggi e le sue prose, sostanziali alla poesia”.
Sostanziali per…?
“… Lo specchio della forma di sé, che cambiava mentre si ricostruiva; per non essere quel fascio ‘di eventi fortuiti e incoerenti, che se ne sta seduto a colazione’. L’opera è un opus e deve coincidere con l’uomo: un essere ‘rinato come un’idea, qualcosa di meditato come un progetto completo’. Come prima i classici, o Leopardi, Yeats offre una vasta concezione del mondo, alimentata dalla poesia, dallo spirito della libertà e della bellezza. Yeats serbava tradizioni neoplatoniche, ermetismo, philosophia perennis, un mondo immaginale, da noi rimasto vivo fino a Tasso, poi disperso. Inoltre, come Leopardi, Balzac, Flaubert, Baudelaire, profetici verso il mondo moderno, ne avvertiva tutti i rischi”.
Quali?
“Materialismo violento, spossessamento della persona, anima e corpo. Per me era uno scudo contro ideologie che dichiaravano l’impotenza della poesia e dell’arte. Ed era anche un grandissimo nutrimento”.
Quali opere di Yeats ha tradotto?
“Crepuscolo celtico (Theoria); Anima Mundi (Guanda); La rosa segreta. I racconti (1995): tutte le opere narrative, anche quelle non raccolte prima; L’artificio dell’eternità (Medusa, 2015), tutti gli scritti sull’arte. E ora pubbico William Butler Yeats. Omero in Irlanda, dove racconto perché Yeats mi era stato necessario in quegli anni di mancanza”.
Traduceva Yeats per studiare Yeats?
“Tradurre per me non era solo un modo di conoscere: rientrava in un processo di trasformazione. Yeats mi riportava, paradossalmente, alle mie origini…”.
… Irlandesi?
“No. Non direi che l’Irlanda di allora evocasse le campagne italiane dell’800. Ma il mondo di Pascoli, sì. Un mondo povero, per alcuni eroico e sacrificale”.
Yeats morì ben prima che lei è nascesse. Il suo Yeats è solo quello dei libri?
“Non solo. Ho conosciuto i figli Anne e Michael, la cognata Grainne, arpista, soprano, musicologa d’eccellenza, sostenitrice del gaelico. Divenni amica della maggiore studiosa di Yeats, Kathleen Raine. Conobbi scrittori e studiosi gravitanti intorno a Yeats, compreso l’Abbey Theatre”.
Prosegua…
“Mi attraeva la fusione delle arti, uno dei tentativi di Yeats. Non è solo un mito romantico: è una necessità di sempre, e umanistica. Inoltre la stessa necessità vitale porta ad agire”.
Un esempio?
“Anche un contemplativo, come Dante, si sporca le mani con la politica. Non è detto che essa debba essere nazionalistica”.
Ma lo è per Yeats.
“In certe epoche i poeti contribuiscono allo sforzo collettivo della propria terra: Foscolo, Leopardi, Manzoni, Carducci, Pascoli, D’Annunzio…”
Sette anni di gloria
Yeats è già affermat tra il 1916 della rivolta antibritannica, il 1921 dell’autonomia irlandese, il 1922-23 della guerra civile. Sette anni di gloria e fratricidio.
“Yeats, immune dal provincialismo dei compatrioti, unifica l’eredità dello Stato nascente. Evoca i miti; lo spirito anglo-irlandese protestante di Burke, Grattan, Swift, Goldsmith, Berkeley; i resti della letteratura gaelica, un tempo illustre; i residui del pensiero immaginale sul destino delle anime disincarnate, ossia le sopravvivenze delle religioni indoeuropee, che il folclore di una terra dissanguata dagli Inglesi e dalle carestie, ma non ancora adulterata dalle classi borghesi, cela in un mosaico unico al mondo”.
Per l’Irlanda Yeats corrisponde a Dante per l’Italia?
“Concordo col paragone, sebbene a noi italiani sembri eccessivo. E ciò non gli fu perdonato”.
Perché e da chi?
“In un’epoca di diffidenza o negazione di qualunque metafisica, la cultura di Yeats veniva considerata ‘angusta’ e ‘orripilante’. Non parliamo poi dell’esoterismo, considerato cascame. Ne avevano orrore Elena Croce, Eugenio Montale, Attilio Bertolucci, Giovanni Giudici, che pure lo amavano come poeta. Non capivano che Yeats era altro”.
Conflitto, non guerra
Nella guerra civile del 1922-1923, Yeats si schiera?
“Yeats aborrì le guerre civili, come del resto la sollevazione della Pasqua del 1916, per la quale si sentì quasi responsabile. Agli inizi vicino agli indipendentisti, restò sconvolto dalle violenze che portarono alla morte amici, come O’Higgins. Diventò senatore d’Irlanda. Nonostante le sue dichiarazioni sulla necessità del conflitto, sopratutto una metafora generale, era realista: preferiva la pace (per lui conflitto non è guerra, ma contrasto, discussione).
Alistair Horne nell’Illusione fascista (Mursia, 1972) dedica molte pagine a Yeats…
“Yeats ha avuto sempre disgusto della massa cieca. Per Orwell, Yeats sbagliava se si aspettava giustizia da regimi che avrebbero promosso una cultura aristocratica. Non l’avrebbero governata ‘nobili con la faccia di Van Dick, ma milionari anonimi, brillanti burocrati e gangster assassini’. Ma in realtà a sbagliare era Orwell: Yeats aveva capito già quando scrisse dell’industriale meccanico che apriva un ciclo rischioso, finanziando il college di Oxford. E parecchie volte s’era pronunciato contro i bottegai e il dio profitto. Né si può dire che lo facesse perché frequentava solo duchesse”.
Blue Shirts
Ma nel 1932 Yeats…
“… Ebbe una breve infatuazione per le Blue Shirts, pentendosene subito”.
Yeats muore verso la fine della guerra civile spagnola. L’Urss perde quella guerra.
“Prima che, in nome dell’anticomunismo, si parlasse di una guerra europea, Yeats non vide derivarne soluzioni, ma tragedie”.
E le discussioni con Joseph Hone su Mussolini?
“Fanno parte più di un interesse storico che di un’adesione simpatetica”
Restava l’interesse per Giovanni Gentile.
“Per la necessità di verificare i piani scolastici in Europa, per l’organizzazione del sistema educativo irlandese. Dal 1931, principale interlocutore di Yeats per l’Italia era Mario Manlio Rossi, già legato a Gentile”.
Rossi era esule in Inghilterra…
“Per refrattarietà al fascismo. Quanto alle ‘menti forti’ che Yeats auspica, le sue metafore vanno oltre il piano contingente. Sono più proiettate su Michelangelo che sui politici, e così è per il presunto maschilismo associabile all’idea della bellezza”.