Le seguenti riflessioni sono state riprese, con pochissime alterazioni, da degli appunti scritti molti anni fa (circa ventotto), in seguito alla frequentazione degli insegnamenti di Letteratura Anglo-Americana presso la Università “Sapienza” di Roma.
Troppe volte quando parliamo di colonialismo siamo, pur giustamente, attratti da zone “famose” legate a questo argomento. Ci si sofferma di rado su di un Popolo da noi erroneamente ribattezzato “indiano” e purtroppo sovente trattato alla stregua di una marmaglia di primitivi e ignoranti.
Per cercare di riassestare certi pregiudizi così poco approfonditi, è sicuramente il caso di guardare con molto rispetto e attenzione al lavoro di Leslie Marmon Silko, Ceremony (1977). Proveniente lei stessa dal medesimo “Laguna Pueblo” di Tayo (il protagonista), per metà “indiano” e per l’altra ispano-messicano, ella ci narra il cammino di purificazione di questo giovane personaggio, mostrandoci una storia già vista troppe volte: di come questo grande (onestamente oggi troveremmo qualche difficoltà ad associare tale aggettivo agli USA [N.d.A]) Paese, l’America, abbia figli legittimi e altri un po’ meno, che si accettano solo quando si rendono utili e poi si righettano in ghetti (i neri di Ellison) malfamati o in sporche riserve a consumarsi con l’alcol; cosa che servirà a etichettarli come degli ubriaconi.
Leggendo questo libro coinvolgente comprendiamo ancora di più l’identità di questo Popolo, la quale riesce ad armonizzare la Natura con le proprie esigenze (come fa del resto l’autrice tra Natura e scrittura), dimostrando una sensibilità che ci deve rammentare che i “Native Americans” sono un Popolo di guerrieri, saggi e sciamani e non di sbronzi perdigiorno come ogni tanto ci mostra tristemente la Silko. D’altronde, lei non critica solamente la sua gente, rivelando questi problemi, ma ci ricorda come sia troppo spesso impossibile coesistere, se non si ha la possibilità di avere una propria identità e di poterla esprimere come collettività libera e non culturalmente oppressa e colonizzata.
Il culto per Apache (vero La Russa?) ed altre nazioni pellerossa d’America si fonda su poco. Su di una indulgente leggenda più che su una realtà. Era un riflesso dell’antiamericanismo di una consistente parte della destra di origine neofascista. Quelli vivevano nel paleolitico…. Non conoscevano ruota, escrittura, agricoltura (i cavalli li portarono i conquistadores, come le mucche..) ecc. Certo, non meritavano i copiosi massacri di cui furono vittime. Ma da sempre, a questo mondo, qualcuno affamato di terre e risorse occupa terre di altri… Del resto anche i pellerossa e gli indios centro e sudamericani erano arrivati dall’Asia molti secoli prima…