
Infiniti libri e manifesti sono stati redatti sull’argomento. È specialmente nel ‘700 che nascono impostazioni politico-sociologiche che preludono al comunismo ottocentesco. Oltre Rousseau, vi sono tre autori che hanno sostenuto decisamente l’abolizione della proprietà privata: Jean Meslier, Étienne-Gabriel Morelly e Dom Deschamps.
Il socialismo utopico fu la prima corrente del moderno pensiero socialista e propugnava una riforma generale della società e dello Stato che avesse come fine la giustizia sociale e come mezzo l’abolizione della proprietà privata, a volte della famiglia, del contrasto tra città e campagna. Il termine fu poi introdotto da Marx per distinguere tale corrente utopista dal suo ‘socialismo scientifico’, basato su un’analisi della realtà socio-economica e politico-ecologica, ovvero del processo storico della relazione tra forze produttive sociali ed i rapporti di produzione fondati sulla proprietà privata di tali mezzi. L’unica transizione verso la fase del ‘comunismo’.
Il socialismo utopico ebbe in Francia, con sansimoniani e fourieristi, i suoi fondatori, e trovò sviluppo nel Regno Unito con gli oweniani. L’importante ruolo di questa corrente ed il valore del pensiero critico di Saint-Simon, Fourier, Owen, fu riconosciuto da Marx ed Engels nel Manifesto del Partito Comunista (1848). Una delle differenze tra socialismo utopico e socialismo scientifico sta nella modalità di attuazione politica. Il primo si prefigge di farlo attraverso le riforme, metodo utopico secondo Karl Marx, che valorizza la necessità della rivoluzione per capovolgere il rapporto tra operaio e capitalista. Un’ulteriore differenza tra l’ideologia marxista e quella social-utopista è che la prima fu nettamente atea, mentre la seconda d’ispirazione cristiana.
(Da G.M. Bravo, Il socialismo prima di Marx: antologia di scritti di riformatori, socialisti, utopisti, comunisti e rivoluzionari premarxisti, Roma, 1966; Robert Service, Compagni. Storia Globale del comunismo nel XX secolo, Bari, Laterza, 2008; https://it.wikipedia.org/wiki/Socialismo_utopico)
Stato e Rivoluzione
Pesco dal web, tra i molti, un contributo sintetico di un autore spagnolo, José Babiano (Madrid, 1960) docente all’Universidad Complutense, ‘Cuando haya libertad no habrá estado: Una nota sobre la utopía leninista en El Estado y la Revolución’. Durante il 1917 Vladimir Lenin (Vladimir Il’ič Ul’janov, Simbirsk, 1870 – Gorki, 1924) redasse in Finlandia, dove si era nascosto per sfuggire al mandato di cattura del governo provvisorio russo di Kerenskij: Stato e rivoluzione. La dottrina marxista dello Stato e i compiti del proletariato nella rivoluzione. Ne riporto brevemente alcune linee tradotte, a mo’ di approccio alla Rivoluzione d’Ottobre, Ten Days that Shook the Worl, per dirla con John Reed, attraverso il pensiero del suo massimo artefice:
“Il proposito di Stato e Rivoluzione (SeR) era affrontare la questione dello Stato dal punto di vista politico e teorico. La discussione, confrontata con le idee di Karl Kautsky, dei socialdemocratici russi e degli anarchisti si prospetta nel constesto della Grande Guerra alla vigilia della Rivoluzione d’ Ottore. SeR rappresenta una sintesi del percorso verso la società comunista, allo stesso tempo delinea alcune delle caratteristiche fondamentali di tale futura società. SeR condivide elementi della letteratura utopistica. La società comunista immaginata dal pamphlet di Lenin è una società egualitaria e di abbondanza. Per altro lato, la utopia leninista si trova assai dipendente dalla realtà storica del momento. Lenin ed i padri fondatori del marxismo rifiutarono di descrivere dettagliatamente il comunismo, come nelle grandi utopie di Moro, Campanella ed altri. Lenin affermò: non siamo utopisti. Non sognamo su come si potrà prescindirse di colpo da ogni governo, da ogni subordinazione. Questi sogni anarchisti, basati della incomprensione dei compiti della Dittatura del Proletariato sono estranei al marxismo e, di fatto, solo servono a rimandare la rivoluzione socialista al momento che gli uomini saranno diversi”.
Lenin, represso sessuale senza figli, non postulò la fine della famiglia. Per Babiano:
“Marx comprese che lo Stato doveva scomparire e che la forma transitoria (la forma di transizione dallo Stato al non-Stato) sarebbe stato il proletariato organizzato como classe dominante. Ma Marx non si proponeva di scoprire le forme politiche del futuro. Il passato ideale era il comunismo primitivo, una società molto arcaica. Engels si riferì a quello stadio della civiltà nell’Origine della famiglia, la proprietà privata e lo Stato. La prima opera di carattire utopistico dopo l’Ottobre ’17 sarà Mistero buffo di Vladimir Majakovskij (1893-1930), del 1918. In essa si mostrava, con cruda ironia, il vecchio mondo del capitalismo e si presentava la vittoria dei bolscevichi come l’apertura di una via verso un futuro di eguaglianza ed armonia, verso il paradiso dei lavoratori. In Majakovskij e nella letteratura sovietica apparirà la critica e la disillusione per la direzione intrapresa dalla Rivoluzione. Nel 1928 egli publica La cimice, una pièce teatrale in 5 atti e 9 quadri, con musiche di Dmitrij Šostakovič. Andrej Platonov (1899-1951), scettico sulla collettivizzazione, scrisse l’utopia contadina Chevengur (1927-1928), pubblicata solo nel 1988, una distopia di tipo arcaico, nella quale la violenza vi gioca un ruolo essenziale, come nella nozione leninista del comunismo. Lo stalinismo reprimeva ogni minimo dissenso”.
Lenin proclamava che ‘quando ci sarà libertà non ci sarà Stato’ ed aggiungeva che la base economica dell’estinzione significherà uno sviluppo tale del comunismo che porterà alla fine della differenza tra il lavoro manuale ed il lavoro intellettuale. Sarà allora quando si porrà in pratica la famosa regola ‘da ognuno secondo la sua capacità. A ciascuno secondo e suoi bisogni’. Questa idea condurrebbe, attraverso Marx, alla nozione di libertà egualitaria di Rousseau, che implicava il diritto di ogni persona al riconoscimento sociale delle sue attitudini personali: la meritocrazia. A partire dalla socializzazione dei mezzi di produzione, per Babiano, Lenin suscita la discussione attordo al diritto nel socialismo e nel comunismo. Postula, in effetti, che all’abolire la proprietà privata, il ‘Diritto Borghese’ gia non sussiste… La borghesia va sterminata, anche fisicamente, alla pari dell’aristocrazia (assimilate). A questa analisi astorica ed ideocratica non è estraneo l’uso del vocabolo ‘totalitarismo’ per definire il regime sovietico. Il bolscevismo era viceversa sorto nella tradizione socialdemocrata e non sempre fu una corrente monolitica, catartica.
Nel III anniversario della Rivoluzione d’Ottobre Lev Trotckij riconobbe che le cose non stavano riuscendo com’egli aveva previsto: ‘Ci lanciammo a questa lotta con magnifici ideali, con magnifico entusiasmo, ed a molte persone sembrava che la terra promessa della fratellanza comunista, la fioritura non solo della vita materiale, ma di quella spirituale, era molto più prossima di ciò che in realtà è poi successo. La terra promessa – il nuovo regno della giustizia, la libertà, la soddisfazione e l’elevazione culturale – tanto vicina che si poteva toccare’. Dopo la guerra, la devastazione e la catastrofe economica, i bolscevichi decisero di seguire avanti sulla base di un impulso utopico, palingenetico. La catastrofe fu letta in chiave millenarista, l’opportunità di costruire un mondo realmente nuovo. Un grandioso e superbo Atto di Fede.
(https://www.sinpermiso.info/textos/cuando-haya-libertad-no-habra-estado-una-nota-sobre-la-utopia-leninista-en-el-estado-y-la-revolucion, 16 de abril 2017; https://it.wikipedia.org/wiki/Stato_e_rivoluzione)
La ‘dottrina della Rivoluzione Permanente’
Fra i non pochi oppositori eliminati da Stalin durante la sua lunga, spietata leadership sull’URSS – culminata nelle Grandi Purghe, nei Grandi Processi di Mosca dal 1936 al ’38 – un posto di estremo rilievo merita, appunto, Lev Trotckij (1879-21 agosto 1940). Assieme a Vladimir Lenin fu la figura centrale della Rivoluzione d’Ottobre e del gruppo dirigente della nascente URSS. Ideologicamente marxista, i suoi scritti e pensiero ispirarono la scuola ideologica conosciuta come ‘trotckismo’, ampiamente diffusa. Nato da una ricca famiglia ebrea russa di Janovka (oggi Bereslavka, Ucraina), abbracciò il marxismo nel 1896. Nel 1898, fu arrestato per attività rivoluzionarie ed esiliato in Siberia; nel 1902 fuggì a Londra, dove collaborò con Lenin.
La ‘dottrina della Rivoluzione Permanente’ di Lev Trotckij (I edizione italiana: Einaudi, 1967) è una teoria marxista sulle dinamiche di trasformazione politico-sociale durante i processi rivoluzionari nei Paesi arretrati. Sebbene essa sia strettamente associata a Lev Trotckij, il richiamo alla ‘Rivoluzione Permanente’ si trova negli scritti di Karl Marx e Friedrich Engels. La tesi venne fatta propria da Trotckij a partire da un articolo del 1905 sul quotidiano rivoluzionario Iskra. Il suo concetto è basato sulla sua valutazione che nei Paesi arretrati il compimento della rivoluzione democratico-borghese non possa essere realizzato dalla borghesia. La rivoluzione permanente nel significato attribuitole da Marx è una rivoluzione che non transige con nessuna forma di dominazione di classe e che non si arresta alla fase democratica, ma passa alle misure socialiste ed alla guerra aperta contro la reazione esterna, una rivoluzione che si arresta solo con la totale liquidazione della società divisa in classi. L’idea base della teoria di Trotckij era che in Russia la borghesia non potesse portare a compimento una rivoluzione che istituisse la democrazia e risolvesse il problema della terra. Queste misure erano considerate essenziali per sviluppare economicamente l’immenso Paese e farlo uscire completamente dal feudalesimo zarista. Egli deduceva perciò che la futura rivoluzione dovesse essere guidata dal proletariato, che non solo avrebbe dovuto compiere la rivoluzione democratico-borghese, ma avrebbe dovuto proseguire direttamente verso la rivoluzione socialista. In questo senso la rivoluzione sarebbe stata permanente o ininterrotta.
Il concetto principale della teoria trotckista era l’idea dell’espansione della rivoluzione socialista in tutto il mondo, sull’esempio di quella sovietica del 1917. Trotckij sosteneva che la teoria formulata da Iosif Stalin del ‘socialismo in un solo Paese’ fosse una rottura con l’internazionalismo proletario. Stalin riteneva invece che l’Unione Sovietica fosse già eccessivamente provata da un lungo sforzo bellico, iniziato nel 1914 e terminato nel 1922 con la fine della guerra civile. La tesi di Stalin sullo stato di debolezza dell’Unione Sovietica era realistica rispetto a quella di Trotckij, perché si basava sulla recente, disastrosa esperienza della guerra sovietico-polacca. Nel 1923, sconfitti i Bianchi, venne proclamata l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, Stato federale con a capo Lenin. Con la sua malattia e morte, nel 1924, Stalin ed il gruppo attorno a lui (che includeva le frazioni di Lev Kamenev e Grigorij Zinov’ev) consolidarono il proprio controllo sul Partito e sullo Stato. Il 1924 inizia la lotta contro il trotckismo, un feroce scontro formalmente ideologico. Con la persecuzione sistematica dei suoi seguaci Trotckij venne esiliato ad Alma Ata nel ’29. Fu poi espulso e cominciò l’esilio, un vagabondaggio in diversi Paesi, fino al suo omicidio a Coyoacán, Messico, nell’agosto 1940, ordinato da Stalin, per mano di Ramón Mercader. Per Trotckij:
“L’imperialismo, la cosiddetta globalizzazione, è un sistema mondiale che genera enormi contraddizioni, miseria, barbarie e guerre. Sorge, praticamente ovunque, una reazione popolare, di massa allo sfruttamento ed ai dettami dell’imperialismo. È interesse del movimento operaio assicurarsi che questi movimenti si rafforzino per por fine alla ‘barbarie capitalista’ “.
Dissoluzione dell’URSS
Chi discettava, però, di barbarie, pur non essendone personalmente colpevole per la parte maggiore! Prima della dissoluzione dell’URSS i ricercatori sugli uccisi sotto il regime criminale di Stalin ne hanno stimato tra i 3 ed i 60 milioni. Dopo il 1992 la disponibilità di accesso agli archivi ha permesso di reperire la documentazione ufficiale di 800.000 esecuzioni tra il 1921 ed il ’53, di circa 1,7 milioni di morti nei gulag e di 390.000 morti nei lavori forzati, con un totale di circa 2,9 milioni di vittime. Gli storici hanno stimato un totale di vittime tra i 4 e gli 10 milioni, senza contare i non sopravvissuti alle carestie, 6-8 milioni tra il 1932-’33, tra le vittime della repressione di Stalin. Essi non sono concordi sul fatto che la carestia mortale fosse una parte deliberata della campagna di repressione contro i kulaki ed altri oppositori. La maggioranza degli studiosi giudica, però, che il regime sovietico adoperò la carestia come ‘arma’ per sottomettere i contadini ucraini (Holodomor). Per Robert Conquest, Il Grande Terrore (1968), i morti nei gulag e campi di lavoro sarebbero stati tra i 13 e i 15, su 30 milioni di internati.
Un orrore infinito, spesso ipercontestualizzato e ridimensionato, fatta talora salva l’onestà intellettuale di alcuni militanti, mitigante il fanatismo. Appare, quel liberticidio forsennato, smisurato, da Chiesa intollerante, detentrice della unica, assoluta Verità, l’eredità più tangibile del comunismo, l’aspirazione a sognare un futuro diverso, migliore, contro ogni evidenza del presente e della storia, ai confini, malgré tout dell’utopia, attraverso bagni di sangue. E poi la guerra vinta nel 1945, che fa strame di Stato di diritto, legalità, legittimità storica, diritto internazionale (ius gentium per i romani). Proprio quando a Norimberga viene eretta una parodia sinistra di giustizia.
Come ebbe a dire Solzenicyn, i leader bolscevichi non erano russi.
Mi raccomando questi dati che non siano divulgati in televisione in prima serata.Continuate pure con rappresentazioni di M ove fantasia d’accatto cerca ancora una volta di propagandare falsità precostituite in supporto di una sinistra che in Italia è ancora in posti di potere,nonostante il popolo non li vota Continuando a vivere divulgando falsità e menzogne..