È da poco stato pubblicato un volume importante ai fini della comprensione della storia italiana dell’ultimo cinquantennio. Ci riferiamo al libro di Francesco Bigazzi e Dario Fertilio, Il Piano Solo. Golpe sì, ma rosso, comparso nel catalogo di Mario Pagliai Editore, con una nota introduttiva di Mario Segni (per ordini: info@leonardolibri.com, pp. 151, euro 12,00). Bigazzi, noto saggista, è considerato tra i massimi esperti di storia e cultura russa, Fertilio, giornalista e docente presso l’Università degli Studi di Milano, è uno dei promotori del Memento Gulag, giornata della memoria per le vittime del comunismo. Si tratta di un testo organico, articolato in due parti, che presenta e discute un’ampia documentazione relativa a uno degli eventi più controversi della storia italiana contemporanea: il Piano Solo e il presunto golpe ordito dal Sifar presieduto dal Comandante dell’Arma dei Carabinieri Giovanni de Lorenzo in combutta con il Presidente della Repubblica Antonio Segni. La tesi centrale sostenuta dai due autori è che se golpe ci fu, si trattò di un tentativo di destabilizzazione politica messo in atto attraverso la regia occulta del’Unione Sovietica e dagli uomini del Kgb. Altro che golpe nero! Questi i fatti.
Fertilio ricostruisce, con dovizia di particolari, gli eventi a muovere dalla pubblicazione, il 10 luglio del 1967, di un articolo di Lino Jannuzzi sul settimanale «L’Espresso», nel quale il giornalista, con toni concitati, denunciava un tentativo di colpo di Stato ordito nel 1964 dai massimi vertici dello Stato, al fine di determinare una svolta reazionaria in Italia mirata a fermare l’ascesa delle sinistre e le “riforme strutturali” volute dal PSI. Inutile sottolineare che, fin dall’inizio, l’articolo suscitò grande clamore: le istituzione democratiche correvano un serio rischio involutivo, si diceva e, per questo, andavano difese con forza. Clamore amplificato, subito dopo, da successivi scritti in tema del direttore del periodico di Via Po, Eugenio Scalfari, ripresi dalla gran cassa mediatica della “stampa democratica”. Segni, che aveva lasciato il Quirinale tre anni prima a causa di una trombosi cerebrale, non ebbe la possibilità di difendersi in prima persona ed ecco che, nello stato di confusione innescato dalla notizia, Il Presidente in carica, Giuseppe Saragat, dichiarò la propria convinzione: «di essere stato danneggiato […] al momento della elezione al Quirinale, da alcune manovre condotte a suo danno dal Sifar» (p. 16), accreditando, in tal modo, la tesi del golpe. Il tratto umano e la posizione politica degasperiana di Segni, nonché la fedeltà all’onore militare di de Lorenzo, resero plausibile, presso l’opinione pubblica, il loro possibile coinvolgimento negli eventi loro imputati.
Si susseguirono: «tre processi, tre inchieste amministrative e un’indagine parlamentare» (p. 17): Segni e De Lorenzo furono prosciolti e i due giornalisti condannati (si salvarono dal carcere grazie all’immunità, in quanto, nel frattempo, erano stati eletti in Parlamento). Le rivelazioni dell’inchiesta Mitrokhin, nel 2002, chiarirono il coinvolgimento di Mosca nell’inscenare la trama golpista, ma furono, di fatto, silenziate. Quegli eventi, rilevano Fertilio e Bigazzi, furono innescati occultamente dal Kgb, che mise in atto un’azione di “spionaggio totale”. Tale intervento ebbe per protagonista il colonnello Leonid Kolosov, uomo del servizio segreto sovietico in Italia. Questi operò al fine di realizzare nel nostro paese, anello geopolitico di grande rilievo per l’alleanza atlantica ma instabile politicamente, con governi di centrosinistra in evidente difficoltà, un piano di “disinformazione” ben congeniato. Dopo il crollo dell’Urss, Kolosov, pur tra ritrattazioni e ambiguità, come si evince dalla seconda parte del volume (firmata da Bigazzi) in cui è stato tradotto per la prima volta in italiano il suo scritto Arrivederci Roma, sosterrà di aver “costruito” le “prove” del Piano Solo, grazie alla collaborazione dell’avvocato e già parlamentare socialista, vicino a Jannuzzi e Scalfari, Pasquale Schiano. Questi fece da intermediario con «L’Espresso»: «Conoscevo l’uomo […] con i suoi suggerimenti ha evitato che si lasciassero tracce. Siamo stati abili, veramente bravi» (p. 61), scrisse Kolosov. Nel giugno del 1969, inoltre, era stato spedito, in forma anonima, a giornalisti e parlamentari un “diario segreto” intitolato Luglio 1964. Si trattava della trascrizione delle relazioni di un agente del Kgb inviate periodicamente a Mosca negli anni del presunto golpe, che fu pubblicato a puntate sul settimanale «Il Borghese». Le responsabilità sovietiche erano chiare, eppure, ancora una volta, le rivelazioni non sortirono alcun effetto sull’immaginario politico collettivo a proposito del Piano Solo. Il “diario” venne derubricato a spy-story, frutto di mera invenzione letteraria. La gran cassa mediatica ha fatto sì che, da allora, l’Italia si sia ulteriormente indebolita politicamente. Da quel lontano 1967 il pericolo fascista e golpista ha paralizzato la nostra vita politica, in particolare tra anni Settanta e Ottanta, connotatati dalla vulgata della “strategia della tensione”.
Il Piano Solo, costruito ad arte dal Kgb e la propaganda disinformativa a esso connessa, hanno destrutturato, innanzitutto, i nostri servizi che, nei decenni successivi, non seppero far fronte agli “anni di piombo” e al terrorismo rosso. L’operazione dette la possibilità al Pci di accreditarsi quale partito dell’ “ordine democratico e costituzionale”: il partito di Berlinguer divenne, in tal modo, perno dei governi di “solidarietà nazionale”, primo passo verso il “compromesso storico”. Il volume di cui trattiamo ristabilisce, una volta per tutte, la verità dei fatti. Il golpe fu rosso. Forse qualcuno, sulla sponda politica opposta, pensò di poter sfruttare (vanamente) possibili “aiuti” della Cia. Il piano Solo, ci dicono gli autori, è stato storicamente una partita di biliardo, con molti protagonisti, nella quale, comunque, la prima palla è stata mossa e decisa a Mosca. Ancora oggi i mass-media continuano a svolgere un ruolo politico disinformativo, in questo frangente a vantaggio della “religione dei diritti” che, stante la lezione di Del Noce, è il risultato della “borghesizzazione” del marxismo. Il modello di riferimento resta quello di Jannuzzi (successivamente “convertitosi” a Forza Italia) e di Scalfari: disinformare per coprire la verità dei fatti e agevolare le “sinistre”.
L’aspetto più ameno della vicenda fu il fatto che il “golpista” De Lorenzo era inizialmente il generale prediletto dalle sinistre, in contrapposizione ad Aloia, che invece si appoggiava alla destra (e commissionò, presumibilmente a Giannettini e Rauti, il pamphlet Le mani rosse sulle Forze Armate). Tutti e due i generali comunque avevano un passato di partigiani.
De Lorenzo, eletto nelle liste monarchiche, passò al Msi e poi alla Destra nazionale. Lo ricordo, al primo convegno per dirigenti del Fronte della Gioventù, nel 1971, ribadire fermamente l’esigenza del servizio militare obbligatorio, contro la proposta di un esercito professionale. Di Aloia rimasero le tre torri che aveva fatto realizzare presso la Scuola di Fanteria a Cesano di Roma, e che rimasero presto inutilizzate. Come mi disse quasi mezzo secolo fa un capitano che veniva dai sottufficiali, Aloia non aveva capito “lo spirito” del nostro Esercito…
Ottima recensione a “Il Piano Solo e un grazie particolare a Giovanni Sessa. Sa cogliere tutta la sostanza della questione, mettendo in rilievo i suoi effetti sul presente. Un modo di rendere servizio alla verità e mettere in discussione quelle del main stream
Ottima recensione, grazie a Giovanni Sessa. Un servizio alla verità storica e politica, con riflessi sull’oggi
Direi golpe no, fuffa e menzogne comunistoidi per screditare le istituzioni.
Grazie a Dario Fertilio…