
C’ero trent’anni fa a Fiuggi, da osservatore appassionato, ai funerali del Movimento sociale italiano e al battesimo di Alleanza Nazionale. A fianco non avevo camerati ma mi ritrovai a fianco di Bianca Berlinguer, quando vidi sfilare in pochi secondi davanti agli occhi un secolo d’Italia: i piangenti, gli esultanti, i riluttanti, i diffidenti, gli avventurieri, i recalcitranti, i forzati. C’era il fascista che si adeguava piangendo, e si chiamava Mirko. C’era il fascista che non ci stava, e si chiamava Pino. E c’era un campionario di reazioni svariate. C’erano pure molti parvenu della politica che non capivano la pantomima, tantomeno la tragedia; mentre alcuni degli irriducibili non andarono nemmeno a Fiuggi, a espellere con la miracolosa acqua dell’oblio il fascismo e il neofascismo come due fastidiosi calcoli renali.
Fu necessaria quella svolta, anzi tardiva. Sarebbe avvenuta assai prima, per esempio ai tempi del governo Tambroni, se la “masnada rossa” sobillata da noti compagni comunisti e socialisti, non fosse scesa in piazza con violenza a Genova per impedire che andasse avanti il primo governo di centro-destra con l’appoggio esterno del Msi. Parliamo del 1960. Trentaquattr’anni dopo avveniva la trasmutazione, la larva si fece farfalla, anche se a molti militanti parve il contrario. Il vero artefice della svolta di Fiuggi è un Signore tedesco, si chiama Zeitgeist, e si traduce con Spirito del Tempo. Il suo ostetrico e regista fu Pinuccio Tatarella, che in realtà era già passato ad Alleanza Nazionale alcuni decenni prima che esistesse. E chi le dette una dignità politologica fu un conservatore monarchico, il professor, e sottolineo professor, Domenico Fisichella. Fini fu l’ultimo iscritto di An, ci arrivò quando tutto era sistemato. Ma diventò lui l’artefice, l’intestatario della svolta.
Fu necessaria quella svolta, dicevo, e anche salutare. Non poteva esistere un partito di pura testimonianza, o che restava ancora sentimentalmente legato allo spirito nostalgico, rivendicato a giorni alterni, mentre nei giorni pari si ricordava che era destra nazionale e anche il motto fondativo del Msi, lanciato da Augusto de Marsanich, era “non restaurare non rinnegare”, cioè non vivere nell’attesa del ritorno del fascismo. Ricordo che negli anni precedenti Almirante aveva provato a far nascere qualcosa di simile ad Alleanza nazionale con la Destra nazionale e poi con quell’abortino della Costituente di destra. Fuse i missini coi monarchici, riuscì a portarsi dentro qualche liberale, qualche ammiraglio e generale, qualche democristiano e perfino un partigiano. Ma come era già successo a Genova dodici anni prima, si scatenò una bufera sulla destra nazionale: golpe, stragi, terrorismo tutto fu giocato contro la trasformazione del neofascismo in destra nazionale postafascista. Nacque l’arco costituzionale. E anche allora quel progetto abortì. Il terzo aborto di An fu pochi anni dopo, quando una parte cospicua e autorevole della classe dirigente del vecchio Msi, fece la scissione dalla fiamma, fondando Democrazia nazionale. Anche quel tentativo di far nascere An abortì alla fine degli anni settanta.
A Fiuggi dunque si arrivò dopo tre aborti e numerosi tentativi di gravidanza isterica o senza successo. Con qualche rimbalzo indietro: per esempio quando Almirante richiamò alla vecchia identità neofascista l’Msi, temendo la concorrenza del socialismo tricolore di Craxi. Oppure quando a un congresso del Msi venne Marco Pannella e anziché accusare il Msi di essere ancora legato al fascismo, fece con geniale perfidia, l’elogio del fascismo grande e tragico, e dei suoi giganti, Gentile, Rocco, Beneduce, Serpieri e altri, sfiorando perfino Mussolini, rispetto ai piccoli neofascisti del Msi, quasi suggerendo che loro ne fossero la caricatura. Allora Almirante dovette intervenire ed esporsi a dire, come non gli succedeva da tempo, che “il fascismo è qui”, sapendo che l’argomentazione di Pannella era per il Msi molto più micidiale di chi lo ghettizzava e lo criminalizzava. Perché l’isolamento aveva pure i suoi vantaggi, cementava una comunità assediata, dava loro la nobiltà della sconfitta e il blasone della diversità rispetto alla “partitocrazia”. Rendeva inagibile il Msi, inutilizzabili i suoi voti, impossibile in una prospettiva di governo ma dava una sicura rendita di posizione, nel nome della diversità, dell’antisistema, della nostalgia.
Ora, finalmente, era nata una (presunta) seconda repubblica; si profilava in Italia un bipolarismo compiuto, fondato sull’alternanza. Il Msi era andato al governo con Berlusconi, e dunque quella svolta si rendeva necessaria. Ma fu fatta in modo frettoloso e superficiale, senza una vera rielaborazione culturale, senza un vero travaglio politico, soltanto come la nascita tardiva e pilotata, con maternità surrogata, dopo vari parti finiti male e precocemente.
Cosa mancò a quella svolta? Mancò una camera di decompressione, una camera iperbarica; o se preferite, mancò un luogo di compensazione. Coerentemente col superamento politico del neofascismo e con la storicizzazione del fascismo, sostenni allora una cosa: anziché cancellare la propria storia e identità con un colpo di spugna o sperare che altri – come poi fece Rauti – si assumessero il ruolo di bad company su cui scaricare la lebbra del neofascismo, sarebbe stato più onesto, più rigoroso e più rispettoso della storia, dei militanti, delle vite passate, se fosse nata al fianco di Alleanza Nazionale una Fondazione che si fosse assunta il compito di mantenere viva la storicizzazione della propria identità, affidandola magari a quegli esponenti, come lo stesso Rauti, che ne rivendicavano l’importanza. Devo riconoscere che negli anni precedenti, proprio Rauti aveva cercato di superare il cliché del vecchio partito nostalgico e nazionalista, aveva tentato di aprire a sinistra, all’ecologia, ai temi femminili, alle culture nuove, mentre Fini, all’ombra di Almirante, era tra i fautori della continuità assoluta e rituale col passato. Ora si trovava lui, Rauti, a ereditare il vecchio partito nostalgico.
Una Fondazione avrebbe dato dignità alla svolta e avrebbe sancito la separazione tra il piano storico-ideologico e il piano politico, liberando il Movimento o Partito, da ogni residuo nostalgico, rituale, residuale.
Fini, dicevamo, non fu l’autore della svolta, semmai il beneficiario o, per dirla in gergo berlusconiano, l’utilizzatore finale. Ma se non fu l’artefice della nascita di Alleanza Nazionale, fu in compenso il principale artefice della sua morte, e della scomparsa della destra in Italia, perduta nelle nebbie di un futuro velleitario, trascinato da cattivi consiglieri (un esempio tra tanti, quel Dalle Vedove che con la destra di ogni tipo non c’entrava un piffero, come poi si è visto). Ci volle la forza di carattere di una ragazza di nome Giorgia, e di un gruppo di tenaci profughi da An e dal Msi, per risalire dallo zero e dal nulla a cui aveva condotto Fini, alla rinascita, fino a diventare il primo partito italiano. Ci vollero tre aborti e un’eutanasia, o forse un suicidio assistito, per arrivare a Fratelli d’Italia alla guida del governo. Di tutte queste traversie resta un solo cimelio: quella fiammella spaesata che ancora sopravvive alle intemperie e ai numerosi annunci di spegnerla con l’acqua dell’oblio. Quante ne ha viste passare, quella fiammella.
La Verità – 28 gennaio 2025
Tutto vero. Vorrei aggiungere solo che fra gli estensori delle tesi di Fiuggi, insieme a Tatarella e al professor Fisichella, che poi seguì un’altra strada, c’era anche Gennaro Malgieri, che come direttore del “Secolo d’Italia” svolse un ruolo prezioso e mal ripagato.
A Fiuggi c’ero e mi ricordo Tatarella sotto braccio a Veneziani, ma non ho mai creduto che Veneziani appoggiasse la nascita di AN.
Il suo giornale, Italia Settimanale, ospitò, nell’estate in cui si preparava il golpe delle infami tesi di AN, un sondaggio a sostegno del MSI. Quindi Veneziani è certamente uno dei pochi che può raccontare eventi in modo completo, ricollegandoli a tutta la storia del MSI, che anch’io ho vissuto.
Però, sono i giudizi su AN che non posso condividere. C’è un punto fermo nella storia del MSI ed è la sua origine. La famosa frase di De Marsanich è più che sufficiente per definirlo, come pure l’articolo 1 dello statuto del MSI.
Di fronte al qualunquismo di AN, quell’articolo 1 giganteggia ieri ed ancor più oggi.
Per chi si è iscritto al MSI da ragazzo, come me, la partecipazione (corporativa) è indispensabile per definire concretamente la libertà e questo concetto deriva dal Fascismo in quanto idea da attualizzare.
Il qualunquismo conservatore con il riconoscimento del vile, soprattutto vile e profittatore, antifascismo vuol dire non cedere al nemico, che ha vinto nel 1945, ma alle sue idee.
E quindi è AN che ha accettato la sconfitta, non il MSI.
Ripeto però che Veneziani è fra i pochissimi che conosce la nostra storia, mentre la gran parte degli ex-MSI si inventa ridicole ed inesistenti verginità.
A Sorrento, La Russa ed i sostenitori di Fini cantavano Giovinezza ed i rautiani ironizzavano: oggi, quelli che cantavano Giovinezza dichiarano di non essere mai stati fascisti…