Si chiamava Jure Grando Alilović (in italiano Giorgio Grando) ed era di Corridico, comune istriano a due passi dal confine con l’Italia, fino al 1797 territorio della Repubblica di Venezia. Un contadino per alcuni, uno stregone per altri. Per la Storia il primo caso di vampirismo documentato.
Dalle lunghe, ricche (e a volte anche un po’ pacchiane) cinematografia e narrativa di genere, abbiamo imparato che i nomi dei vampiri sono pressoché infiniti:
“succhia sangue”, “sanguisughe”, “non morti”, “Nosferatu”, “homines nocturnae” (Blade), Strigoi, Upyr, Wurdalak, etc.
Al di là di quelli inventati (che sono per l’appunto infiniti), Strigoi, Upyr e Wurdalak appartengono alla tradizione balcanica da secoli. In Istria si parlava di Strigon, termine dell’istro-veneto assimilabile allo Strigoi rumeno ed entrambi probabilmente derivati dal latino Strix-gis (strega, vampiro).
Jure Grando Alilović era dunque uno Strigon. Ma come lo era diventato e, soprattutto, come era stato scoperto?
La prima parte della sua storia è di scarso interesse: dalla nascita alla morte fu infatti solo un anonimo agricoltore, sposato, con due figli, sempre vissuto a Corridico, morto in età veneranda per i tempi, nel 1656 vale a dire attorno ai settant’anni.
Fu la vita dopo la morte ad essere interessante e raccontata nel 1689 dallo scienziato austriaco Johann Weichart Freiherr von Valvasor nel suo La Gloria del Ducato di Carniola. Appena dopo essere stato sepolto Jure iniziò a vagare per Corridico, portando con sé in spalla un gatto e una capra e bussando ed importunando i terrorizzati abitanti. Come da tradizione vampirica, anche i famigliari subirono tali visite notturne: il non morto che torna da chi lo ha amato per distruggerlo…
Cosa interessante della narrazione di von Valvasor è il lungo arco temporale nel corso del quale “operò” lo Strigon di Corridico: sedici anni, con una scia di morti lasciata alle spalle. Le sue visite, infatti, pare fossero “mortifere”.
I tanti morti convinsero il prete del paese a porre fine una volta per tutte alle scorrerie del mostro. Scoperchiata la sua bara e benché trascorsi sedici anni, il corpo apparve perfettamente conservato. L’esorcismo con una croce e con le preghiere fece lacrimare il vampiro, poi trafitto con un paletto. Ma ciò non bastò perché sembra che il legno non sia riuscito a raggiungere il cuore: allora ecco, decapitazione. E, come nel Dracula di Francis Ford Coppola, il taglio della testa provoca un’ondata di sangue. Morto per la seconda volta, Jure Grando Alilović rimase per sempre sottoterra.
Arrivati a questo punto il lettore potrà, giustamente, domandare: è importante sapere che il primo vampiro fosse Istriano anzi, ad essere precisi cittadino della Repubblica di Venezia? Beh sì ed essenzialmente per due motivi: perché ci ricorda la ricchezza del folklore nostrano con buona pace di Hollywood e della (mitica) Hammer Films e perché tutte le trovate che hanno contaminato il mito del vampiro nel corso dei secoli (e dei film) hanno avuto origine in territorio italiano.
Lo stesso von Valvasor descrive infatti i metodi per abbattere la creatura: croce e preghiere, paletto nel cuore (che nel caso di Jure non funziona seppure fosse noto, secondo lo scienziato austriaco, quale metodo per uccidere gli Strigon) e decapitazione con gran fuoriuscita di sangue.