
Se ne va David Lynch, regista, attore, sperimentatore nel campo della pittura, musicista, scrittore, artista a tutto tondo. Da ragazzo viaggiò in Europa per conoscere gli ultimi esponenti delle avanguardie novecentesche e dopo anni trascorsi come pittore e realizzatore di cortometraggi, nel 1977 debuttò nel cinema statunitense con il suo primo lungometraggio “Eraserhead”, abbagliando con un’onda elettrica dark – che sarà la cifra di tutta la sua produzione – la scena cinematografia mondiale.
Humor nero e brivido metafisico, i reconditi recessi della psiche (e il suo sconfinato impero, come in “Inland Empire”), l’ossessione e la mania (ma anche il terrore di essere padre, in “Eraserhead”), la perversione e l’anelito al cielo (magistralmente espressi nell’epopea di “Twin Peaks” dall’angelo/diavolo Laura Palmer), la provincia americana con le sue verdi colline e i suoi foschi misteri (che funse da ambientazione già a Poe e a Lovecraft), ma anche il rutilante mondo di Hollywood (come in Mulholland Drive) le femme fatales (impossibile dimenticare l’iconica Audrey Horne coi suoi occhi da gatta e le movenze di una dea egizia) e il cabaret (il pensiero va alla conturbante Isabella Rossellini – a lungo sua compagna – in “Velluto Blu”): le ballerine, i nani… e i giganti, i college con le loro reginette e i bulli in cabriolet: tutta l’epica americana insomma, fra Grande Gatsby e Capitano Achab, in Lynch; il thrill del poliziesco dai risvolti esoterici (e pensiamo all’agente FBI con poteri ESP Dale Cooper interpretato dal suo attore-feticcio Kyle MacLachlan e allo stesso agente Gordon impersonato da egli stesso sempre in “Twin Peaks”, ma anche alle figure di potenti corrotti, facenti capo nientemeno che a Bob, incarnazione del Male ontologico assieme alla non meno temibile Jody; Loggia nera e Loggia bianca, dunque, guardie e ladri, angeli e demoni, buoni e cattivi come in “Dune”, solo che lì si cercava la “Spezia”, mentre le entità che si aggirano nei dintorni di “Twin Peaks” prediligono la “Garmonbozia”: ambrosia tratta dal dolore degli uomini, che da par loro si fanno la guerra per il denaro), tutto questo e molto altro ha saputo rappresentare questo potente “sognatore”, che viveva “dentro al suo sogno”, con buona pace di Monica nazionale (Bellucci n.d.r.).
78enne, Lynch, già nel 2024 aveva rivelato il male di cui soffriva: un grave enfisema diagnosticatogli dopo una vita passata a fumare sigarette (cosa che amava fare tanto quanto bere il suo “caffè nero”), e che probabilmente non gli avrebbe più concesso di imbracciare la macchina da presa fuori casa. La sua famiglia ne ha annunciato la morte in un post sui social, scrivendo: “C’è un grande buco nel mondo ora che non è più con noi. Ma, come direbbe lui, “tieni d’occhio la ciambella e non il buco.”
Palma d’Oro al Festival di Cannes, candidato quattro volte all’Oscar, Lynch ha ricevuto un Oscar onorario alla carriera nel 2020, anno della pandemia, in cui intrattenne il suo pubblico con improbabili previsioni del tempo.
Ricercare al di là del teatrino delle convenzioni umane e della banale quotidianità, fattori, matrici, segni e spiriti, in un universo in cui tutto è mente, scrutando nelle profondità della coscienza umana, questo era il cinema di Lynch. Questo animava Lynch. Sciamano e metafisico sui generis. Ultimo dei surrealisti.