
All’interno del libro Supervagamondo, ovvero una delle fatiche più emblematiche della milizia d’artista di Stenio Solinas, un intero capitolo è dedicato alla rivalità tra Drieu La Rochelle e Louis Aragon. La frase che più colpisce riguarda il modus vivendi dello scrittore fascista: “Drieu […] aveva deciso di giocare alla roulette russa della vita con l’intenzione di perdere.”
Tutti, chi più e chi meno, conoscono il motivo per cui Drieu La Rochelle s’è tolto la vita. Aveva deciso, fino in fondo, di dare vita al suo giuramento dandosi la morte che già aveva tentato di accarezzare sin da giovane.
Un epilogo analogo a quello di Sergio Claudio Perroni, l’autore di Nel ventre e di Entro a volte nel tuo sonno [cito le opere che più mi hanno permesso di legarmi a lui, N.d.A.] del quale tutt’oggi si avverte un’assenza devastante sotto il punto di vista artistico e fortemente orientato verso l’aristocrazia delle humanae litterae.
Sia La Rochelle sia Perroni, seppur in epoche profondamente diverse per via delle loro caratteristiche sociopolitiche, sono stati dei profondissimi ricercatori della parola, perfetti mosaicisti del periodo e portatori di nitore e perfezione stilistica senza pari.

Basterebbe soffermarsi sulla lettura della sopracitata Nel ventre e di Fuoco fatuo, opera tragica scritta dal francese per liberarsi dal dramma della perdita di uno dei suoi più cari amici. In esse si avverte la volontà da parte di entrambi gli artisti di scavare – chiaramente autorizzati dai loro nobili intenti – dentro gli anfratti più perigliosi e misterici dell’animo umano, i quali sono raggiungibili soltanto se lo scrittore li abbia veramente vissuti durante uno dei suoi transiti in vita.
La Rochelle è il soldato politico che disprezza il suo tempo in malora restando fedele alla sua parola; Perroni è il divin pagano che tenta di afferrare l’appiglio che il cielo gli ha concesso sin dal momento del suo concepimento.
D’altronde è profondamente vero che, come affermava Drieu: “l’uomo esiste solo nella lotta, l’uomo vive solo se rischia la morte” e ciò Perroni lo aveva fatto suo narrando nel Ventre del limbo bellico dove Ulisse e i suoi sodali vivono le ore più drammatiche prima di poter conquistare Troia.

Inoltre, per rimarcare l’ineffabile ferocia dei loro spiriti nobili, si può utilizzare la prosa sferzante di Drieu sull’individuo: “Nemmeno Nietzsche ha resistito alla folgorazione della rivelazione suprema: Dio non è, io sono Dio, dunque sono solo!”. Questo pensiero tratto dal suo Diario, può aderire a ciò che Perroni ha compiuto in quel dì del 25 maggio 2019. Sia chiara però ai lettori una differenza fondamentale: Perroni, al contrario di Drieu, secondo quanto si percepisce dai mirifici versi della donna che egli ama – il presente è voluto – e da quanto ha dichiarato Vittorio Sgarbi in un’intervista del 2020 sullo scrittore, non ha compiuto questo gesto per contrastare l’onta della solitudine che aveva permeato La Rochelle per tutta la vita. Bensì – e qui si esplica l’unione tra i due – per tenere fede alla sua giovinezza, per impedirsi di perdere forza e per concedersi a quel divino che egli ha tanto ricercato tra i versi della sua prosa immaginifica e potente.
Questa è la spiegazione che più si confà allo spirito di chi sta scrivendo. Altresì, com’è stato scritto prima, vi sarebbe da ricercare la motivazione in quegli anfratti misterici dell’animo umano che tutti noi nascondiamo, ma forse non è ancora il tempo per il nostro contemporaneo.
In conclusione, è utile, per chi volesse avvicinarsi ai due protagonisti di questo articolo, tracciare il profilo della perpendicolarità d’intenti dei due scrittori sull’aristocrazia della loro prosa. Come scrisse Drieu nel suo Diario di un delicato: “Per me un quadro è l’articolazione di una preghiera, un mezzo magico per raggiungere l’al di là, in seno al mondo.”
La suddetta geometricità dei fini si esplica, in Perroni, nella sua volontà di legare il dramma degli achei con le pregevolissime opere di Velasco Vitali contenute nell’epa del suo romanzo, il quale gode di una copertina che non si rivolge ai pensieri dei protagonisti, bensì all’occhio preveggente di Cassandra che già immagina l’oblio della sua patria.
Drieu La Rochelle e Sergio Claudio Perroni non sono legati soltanto dal loro tragico epilogo, ma soprattutto dai motivi letterari che sono stati definiti in questo scritto. D’altronde: “Scrivere è la migliore tra le tante cose che si fanno per ingannare la morte – anzi, per ingannarsi sul conto della morte.” La vita, parafrasando il titolo di un’opera di Perroni, è “il principio della carezza” della morte.
Autore:
Marco Spada