
Un incontro tra spiriti liberi. Mentre la terza battaglia di Ypres infuriava a 270 chilometri da Parigi e a Carzano, 600 chilometri a nord di Roma, si preannunciava la disfatta di Caporetto; due giovani artisti pressoché coetanei si incontrarono nella capitale francese grazie all’amicizia comune ad entrambi con Tristan Tzara, il fondatore “solforoso” del Dadaismo. Pierre Drieu La Rochelle, da poco inseritosi nel panorama artistico francese dei primi anni Dieci con il suo Interrogation ed Enrico Prampolini, già avviato nella sua immensa milizia d’artista futurista, ebbero modo di conoscersi e di collaborare in modo proficuo sulla rivista SIC (Sons Idées Couleurs, Formes), ovvero la cassa di risonanza delle avanguardie parigine che venne pubblicata dal gennaio 1916 al dicembre 1919. Già famosa sin dai suoi primi numeri grazie ai lavori di Gino Severini e al patrocinio di Guillaume Apollinaire, nulla poteva far presagire che un esordiente – tale era Drieu ai tempi – potesse riuscire nell’intento di pubblicare con la rivista di rue de la Tombe-Issoire nel quattordicesimo arrondissement.

Eppure, ciò accadde nel ventunesimo numero pubblicato il primo settembre 1917, nel quale sia Prampolini sia Drieu collaborarono insieme a Gino Cantarelli, Tristan Tzara, il poeta polacco Ary Justman e i coniugi Pierre e Germaine Albert-Birot. In questo numero di SIC, Prampolini va oltre la sua formazione europea e filoastratta e si discosta prepotentemente dalla celebre opera “L’heure triangulaire” di Salvador Dalì.

Nel “Piccolo giapponese” pubblicato nell’edizione settembrina, il pittore modenese abbraccia definitivamente l’astrattismo e la materia, così da fondare l’altra linea di ricerca del futurismo, la quale si pone in antitesi rispetto al Manifesto dell’aeropittura di Marinetti. Tuttavia, in quest’opera di Prampolini persistono ancora caratteri dotati di aerodinamicità che ispireranno – tra le tante opere successive – “La madonna dell’ala” (1931) di Bruno Tano.
Pierre Drieu La Rochelle, già ferito due volte a Charleroi e a Verdun, tornò a Parigi tra i mesi di agosto e ottobre del 1917 per pubblicare la suddetta opera poetica con la Nouvelle Revue Française e per sposarsi con Colette Jéramec, la sua prima moglie. Giovane, ma già profondamente consapevole di molte verità dell’esistenza, decise di gettarsi a capofitto tra le avanguardie dell’epoca aprendosi la strada del suo futuro successo letterario. Appena ventiquattrenne e dotato di uno slancio lirico che avrebbe perso in favore di un maggiore realismo da L’homme couvert de femmes in poi. Qui di seguito, pubblichiamo la traduzione dell’inedito Dernière nouvelle ad opera dell’autore di questo articolo:
Ultima novella
Che tutta la nostra aria sia intrisa di incantesimi radiosi.
Che per gli ascoltatori loquaci la parola della Comunione Umana crepiti come i baci di un incontro.
Che davanti alle folle notturne, l’Ultima Novella sfavilli sugli schermi.
Che nel caos oscuro, dove i mari e i cieli si incontrano, i fari risuonino le folgoranti trombe del silenzio.
Che le sirene ululino la loro sofferenza furente.
Che tra le folle diurne si sfoglino i giornali umidi dove le lingue si scontrano.
Questo è tutto.
La terra è presa.
La terra è rotonda nelle mani dell’uomo. La maturazione del cervello ne ha acquisito ogni rotondità. La visione circolare entra nello spirito come un frutto in bocca.
La terra è una e il suo padrone è l’uomo.
La presenza dello spirito è ovunque.
Vibrante geo-metria.
Tutte le linee della sfera sono sensibili come le fibre nervose che corrono ai margini del corpo.
I meridiani circondano le mie spalle e l’Equatore mi cinge con forza.
Sento il mio fratello antipodale; sento le piante dei suoi piedi.
L’impronta dello Zarathustra di Nietzsche è percepibile in ogni verso. Purtroppo per Drieu, la copia regalatagli dalla madre durante una delle loro tipiche passeggiate in avenue de l’Opéra era già andata perduta tra le foreste del Belgio. Chissà se un soldato tedesco sia mai riuscito a trovarla durante la sua avanzata.
interessante articolo di Marco Spada che getta luce sulla breve stagione “futurista” di Drieu, che in qualche modo proseguirà con la sua seconda opera di poesia pubblicata che è Fond de cantine nel 1920