
Nel 1949 il noto critico letterario Carlo Bo tradusse e diede alle stampe col titolo L’origine sportiva dello Stato (ora in SE, 2019, pp. 142) alcuni saggi scritti dal filosofo José Ortega y Gasset tra il 1916 e il 1934 che poi erano stati raccolti in più volumi sotto il titolo El Espectador e di cui era stata tradotta in italiano una selezione col titolo Lo spettatore (voll. 2, Bompiani, 1949).
Nella postfazione – l’autore era ancora vivente – scriveva che «José Ortega y Gasset è il saggista più vivo della Spagna». E dopo essersi diffuso, ben a ragione, sulle qualità stilistiche, sulla compattezza e chiarezza della prosa del filosofo spagnolo, accostandolo a Montaigne, concludeva che Ortega y Gasset «ha preferito la conoscenza alla ripetizione, la cifra segreta che risultava dalle sue ricerche alla cifra combinata nella convezione dell’accademia e della retorica».
Lo sguardo intelligente sulle cose
In questi saggi lo sguardo intelligente sulle cose prende il posto della formulazione dottrinale. La bussola del pensiero, per così dire, è costituita dal principio di tutta la sua filosofia della ragione vitale secondo cui «la nostra vita è un dialogo, dove l’individuo è solo un interlocutore: l’altro è il paesaggio, quello che ci sta intorno». «Restituiamo al nostro pensiero – scrive Ortega y Gasset – il fondo su cui è nato, presentiamolo umilmente come le cose che troviamo nel nostro paesaggio, che si levano di fronte a noi, né più né meno di quegli olmi vicino al fiume, di quei fumi tremuli sui comignoli del paese. Così hanno fatto gli uomini migliori: Descartes non dimentica di raccontarci che il nuovo metodo riformatore della scienza universale gli venne in mente una sera davanti alla stufa di una casa tedesca, e Platone quando ci parla della scienza dell’amore nel Fedro, della scienza della scienza, si cura di presentarci a Socrate e all’amico mentre dialogano in una siesta canicolare, sotto il fresco di un alto platano sublime, e sulle loro teste le cicale elleniche rovesciano il loro stridio».
La riflessione nei saggi dello Spettatore nasce da piccoli eventi, che a tutta prima possono apparire insignificanti. L’andare sul tram e l’appuntare lo sguardo sulle bellezze femminili presenti, ad esempio, dà luogo a una feconda analisi sull’amore della molteplicità della vita e sul modo di giudicare la bellezza femminile.
“Tre quadri del vino”
In uno dei saggi più significativi del volume intitolato “Tre quadri del vino” il pretesto alla riflessione è offerto da una visita al Prado «sotto la tiepida luce bianca che cade dalle vetrate» e dal confronto fra tre tele: il Baccanale del Tiziano, il Baccanale di Poussin e Gli ubriachi di Velázquez aventi lo stesso tema, che è il vino simboleggiato in particolare da Bacco.
Scrive Ortega y Gasset che ogni secolo, al suo cominciare, porta una diversa sensibilità per qualcuno dei grandi problemi che costituiscono i «misteri cardinali che nella penombra della storia battono convulsi come cuori perenni». I temi dell’arte a questo proposito «possono servirci da confessionali della storia. Incontrandoli e dovendo tentarne un’interpretazione, ogni epoca denuncia le ultime disposizioni, la trama radicale del suo animo».
Queste le conclusioni cui giunge il filosofo spagnolo dopo una pregnante, appassionata ed appassionante analisi dei tre dipinti: «Tiziano e Poussin sono, ognuno a suo modo, temperamenti religiosi, provano quello che provava Goethe: devozione per la natura. Velázquez è un gigante ateo, un empio colossale. Col suo pennello scaccia gli dèi a scopate. Nel suo baccanale, non solo non c’è un Bacco, ma c’è uno spudorato che rappresenta Bacco. È il nostro pittore. Ha preparato la strada per la nostra età, priva di dèi: età amministrativa in cui invece di Dioniso parliamo dell’alcolismo».
La critica all’interpretazione marxista della storia
Ci soffermiamo ora brevemente sui due saggi di filosofia politica presenti nel volume: L’interpretazione bellica della storia e L’origine sportiva dello Stato, che dà il nome alla raccolta.
Nel saggio intitolato L’interpretazione bellica della storia, Ortega y Gasset contrappone all’interpretazione economica della storia, che è senza dubbio una delle grandi idee dell’Ottocento, una propria interpretazione, per l’appunto bellica, che si riferisce non al racconto delle battaglie (come era consuetudine della storiografia prima di Marx), ma al modo di fare la guerra e alla sua influenza sulla struttura della vita in ogni epoca. Il filosofo spagnolo riconosce volentieri a Marx l’importanza della sua idea che ha dimostrato come «l’insieme dei fatti umani non è un semplice andirivieni di fatti suscitati dal caso ma che sotto questa apparenza (…) la vita storica ha una struttura, una legge profonda che la dirige inesorabilmente». Tuttavia, egli precisava, essa è unilaterale, eccessiva, poiché il fattore economico diventava «l’unica autentica realtà storica e si avviliva il resto – diritto, arte, scienza, religione – come mera soprastruttura, semplice riflesso, proiezione dell’interna meccanica economica».
A ciò si aggiunga che questa interpretazione vale sicuramente per l’età moderna, ma non per tutte le età, non avendo per altre età il fattore economico lo stesso peso. Per la sua interpretazione, che ha in comune con quella di Marx la convinzione che la realtà storica è lotta, Ortega y Gasset muove da una osservazione di Aristotele, tratta da La politica, secondo cui «in ogni stato il sovrano è il combattente e quelli che hanno le armi partecipano del potere».
E qui il filosofo spagnolo fa vari esempi tratti dalla storia antica, come l’invenzione della falange nell’antica Grecia, che consentì a questo popolo così poco numeroso di battere, grazie all’ordine e alla coesione sociale che essa presuppone, uno degli eserciti più forti e temuti del tempo, quello dei Persiani. Così l’idea di Temistocle di armare una grande flotta, contando necessariamente per il suo funzionamento su uomini dei ceti inferiori, non solo assicurò la vittoria a Platea, ma portò ad un’enorme trasformazione nella politica ateniese dando vita alla sua democrazia.
Il filosofo spagnolo mette in risalto anche la differenza col Medioevo: «Allo stesso modo in cui la democrazia suppone il servizio militare generalizzato, l’aristocrazia deve fare un privilegio del combattere (…) Il Medioevo fu di costituzione aristocratica finché seppe conservare gelosamente per pochi questo privilegio del pericolo e dell’offesa. Di qui il culto della guerra del signore medievale».
Osserviamo come La sestina: Altaforte di Pound dedicata al trovatore provenzale e guerriero del XIII secolo, Bertrand de Born, (“Non vi è suono eguale a quello delle spade che cozzano / Nessun grido pari alla gioia della battaglia”) è tutto sommato una conferma ed un esempio eloquente di quanto sostenuto da Ortega y Gasset.
Lavoro e sport
Nel saggio L’origine sportiva dello Stato Ortega y Gasset comincia col distinguere due attività nella vita umana, quella rappresentata dal lavoro che è uno sforzo obbligato che la necessità ci impone, e lo sport che invece è uno sforzo che facciamo per il semplice piacere di farlo. La vita, secondo Ortega y Gasset, ha in quest’ultima attività, che non è legata alle necessità quotidiane, è spontanea e superflua ed è una «libera espansione di un’energia preesistente», la sua vera consistenza.
All’interpretazione meccanicistica e deterministica dell’evoluzione naturale e sociale (come quella marxista che riponeva nella divisione del lavoro e nello sfruttamento di una classe sulle altre l’origine dello Stato) Ortega y Gasset, ispirandosi alle tesi del filosofo francese Henri Bergson, contrappone l’idea di un’evoluzione creatrice, spontanea, che prescinda dalla stretta utilità: «Una volta fatto l’occhio, le leggi dell’ottica si compiono nella visione, ma con le leggi fisiche non si fa un occhio. A Descartes che sosteneva la natura meccanica dei corpi vivi, già Cristina di Svezia aveva detto che “ella non aveva mai visto che il suo orologio avesse dato alla luce degli orologini”».
È proprio questa energia spontanea e lussureggiante della vita a portare, in quei tempi che definiamo preistorici, i giovani cacciatori, che vivono ancora in orde, a provare da un lato repulsione per le donne consanguinee con cui convivono e dall’altro una fantastica attrazione per le donne sconosciute che vivono in altre orde. Ed allora decidono di rapirle. È quanto adombrato nella leggenda del ratto delle Sabine compiuto da Romolo e dai suoi compagni. E del resto, «nei riti matrimoniali di Roma perdurò la traccia del ratto originario, visto che, come si sa, la sposa entrando in casa del marito non usava i suoi piedi ma questo la prendeva in braccio perché non calpestasse la soglia, simboleggiando così che era stata rapita».
Sennonché, «per rubare bisogna combattere, e nasce la guerra come mezzo a servizio dell’amore. Ma la guerra suscita un capo e richiede una disciplina: con la guerra ispirata dall’amore sorgono, l’autorità, la legge e la struttura sociale».
L’esogamia, la guerra, la disciplina, l’organizzazione militare e l’autorità, tutto questo insieme «è la genesi storica e razionale dello Stato. (…) Non sono stati l’operaio, né l’intellettuale né il sacerdote, propriamente detto, a iniziare il grande processo politico; è stata la gioventù preoccupata delle donne e decisa a combattere; sono stati l’amatore, il guerriero e lo sportivo».
Il saggio, di piacevolissima lettura, è peraltro ricco di annotazioni, anche linguistiche, e dà importanza a due fattori solitamente trascurati nella storia umana, ma, a nostro avviso, imprescindibili, che sono l’età e i sessi. Alla luce di questi due fattori l’interpretazione dell’origine sportiva dello Stato proposta da Ortega y Gasset ha una sua plausibilità e non è più tanto peregrina, come poteva sembrare di primo acchito.
La guerra è un furto in grande organizzato dallo Stato.