
Forse è il più grande scrittore satirico inglese, erede di autori classici come Geoffry Chaucer e Jonathan Swift. Lo dimostra ogni libro che ha scritto con una tecnica di scrittura che sembra casuale invece è molto studiata. Così, Evelyn Waugh (1903-1966), esponente della corrente letteraria umoristica inglese, voce rappresentativa di una generazione aristocratica, ha uno stile freddo e distaccato. Le sue frasi taglienti si abbattono soprattutto sulla società del tempo e sulla sua visione materialista, sulla carenza di valori: una crudele comicità dalla quale emerge la sua visione del mondo espressamente conservatrice. A ventisette anni abbandona l’adesione alla religione protestante per convertirsi al cattolicesimo. Negli anni Trenta viaggia molto in Europa, Africa, in Oriente e nel Messico. Del resto, una sua caratteristica è stata partire senza una meta precisa e scoprire la gente e i luoghi man mano, senza pianificare alcunché. Con la sua prosa ironica e comica non risparmia nessuno. Nel mirino ci sono proprio tutti: ebrei, musulmani, neri, bianchi, statunitensi, francesi ma soprattutto gli strali più pesanti sono riservati ai propri connazionali.

Adesso Adelphi, che ha pubblicato varie opere di Waugh, ha mandato in libreria Un turista in Africa. L’Africa che Waugh conosce e attraversa in lungo e in largo è un continente che, in quegli anni sta mutando. A Mombasa, Aden, Zanzibar, le due Rhodesie incontra personaggi pittoreschi, vive situazioni grottesche, affronta avventure vere e proprie che supera con disinvoltura e con aplomb di una freddezza unica, per tirare le somme e scolpire, con frasi memorabili, la vicenda o un personaggio.Un viaggiatore speciale, davvero particolare, Evelyn: per lui, da giovane, il mondo comincia e finisce nelle isole britanniche. Odia qualsiasi altro posto. In seguito comincia ad amare il viaggiare di per sé e conoscere luoghi vari. Dall’inizio degli anni Trenta cambia idea: ama i viaggi in paesi lontani che gli mostrano altre realtà. Alcuni fra i suoi best seller, del resto, sono resoconti di viaggio: L’inviato speciale, dove riprende le sue cronache per il “Daily Mail” e il fortunato Etichette e Quando viaggiare era un piacere. In quest’ultimo libro dichiara di sentirsi vecchio (aveva 50 anni circa) e che avrebbe presto smesso di viaggiare, ma invece continua. Fra una battuta e l’altra, fra una scoperta e una “immersione” nella realtà di città africane, sente che il mondo sta cambiando, sente che la decolonizzazione non è lontana, e in Un turista in Africa rivendica la propria vita, non sempre facile. Gira tutta la costa occidentale dell’Africa, partendo da una Genova che giudica meravigliosa e viaggia su treni, navi, aerei trovando tutto sommato scomodi gli spostamenti e gira, con lettere di presentazione in tasca e funzionari di ambasciate a disposizione. Insomma, una faticaccia alla quale deve sottoporsi. Ma poi, in città dalle quali non si aspetta nulla scopre posti meravigliosi, locali divertenti e il suo giudizio muta. Alla fin fine, Waugh è ben accolto in tutti i posti dove si presenta, è conosciuto da tutti grazie al successo dei suoi libri e gode di ampia notorietà. Ma ciò che emerge maggiormente agli occhi di Waugh è che gli anni Sessanta sono anni in cui si profila la fine dell’Impero britannico. E non mancano i cenni, di sfuggita, ai movimenti indipendentisti e gli attacchi al governo laburista considerato incapace da Waugh. I bianchi vivono un senso di provvisorietà e l’Impero non è quello eterno che la classe alta britannica immaginava.
Evelyn Waugh, Un turista in Africa, (Adelphi ed., pagg. 196, euro 14,00; traduzione di Stefano Manferlotti)