Aveva cominciato a fare politica per trasmettere agli altri, ai suoi fratelli di armi, di destino, di sangue, di sangue trasmesso e di sangue versato, le verità indispensabili ai Popoli che non vogliono morire; per trasmettere con la parola i secreti della Tradizione, senza la quale il genio di una comunità è destinato a soccombere per le raffiche implacabili della Storia.
L’arma vincente di Le Pen era la parola, quella che gli ha consentito di catturare i sentimenti, i pensieri, le speranze di milioni di francesi e che ne ha fatto uno dei grandi oratori naturali della sua epoca. Parola con una straordinaria potenza evocatrice, davvero immaginifica, con una fascinosa cadenza incantatrice: le frecce che dalla sua faretra scagliava per offrire esempi, suggestioni, consapevolezze, orgoglio, per insegnare la virtù della coerenza e della fedeltà. Ma anche sferzanti invettive e micidiali provocazioni che eccitavano di piacere i suoi seguaci, sempre più numerosi, e di odio i suoi avversari, sempre più inerti davanti alla tenacia di questo ribelle per natura.
Insomma un francese per la Francia.
Figlio di un pescatore, legato in modo viscerale a quel mare di Bretagna che lo ha cresciuto perfino più dell’Indocina e dell’Algeria, Le Pen si presentava ai suoi elettori nel Morbihan come “député de la mer”.
E davanti a quel mare lo saluteremo, fieri di essere stati amici di uno dei protagonisti più coraggiosi e originali della politica francese ma anche di quella europea.
Le Pen ha davvero attraversato da protagonista tutte le fasi della destra francese del dopoguerra. Ha svolto questo percorso con un obiettivo costante e chiaro: unire, unire, unire le tante parti nelle quali quel mondo si era diviso. Su queste divisioni pesava la Storia complessa di quella destra con radici profonde e antiche: bonapartisti, orleanisti, maurrassiani, repubblicani, socialnazionali, cattolici tradizionalisti, comunardi. Rancori, incomprensioni, rivalità, una montagna da spalare o, se si vuole, da scalare. Una lunghissima, estenuante traversata del deserto cominciata nel 1945 e finita nel 1983, quando a Dreux (Eure-et-Loire) il Fn ottiene una piccola ma storica vittoria, la conquista del Comune. Pareva una follia. Era una realtà.
Le Pen aveva fatto l’impresa.
Era riuscito a federare le destre dando vita ad un movimento unico e unitario che, tutte, le raccoglieva e le interpretava. A tutto il popolo della destra nazionale francese aveva dato una casa. E aveva dato una linea politica coerente ma aperta al nuovo consenso che arrivava.
La sua scommessa contro i limiti della Quinta Repubblica e contro le contraddizioni del gollismo senza de Gaulle cominciava ad essere vinta. L’ostracismo della stampa d’Oltralpe, la liberticida legge elettorale che pareva intoccabile ed eterna, gli insulti che precedevano e seguivano anche la più piccola iniziativa frontista non pagavano più. I francesi stavano capendo.
Quando il Front national nacque (1972) ci fu chi lo volle dipingere come uno dei gruppuscoli destinati ad essere divorati dal Sistema.
Non fu così.
Vide giusto Almirante che, d’accordo con Romualdi, autorizzò Le Pen a fregiarsi del simbolo della fiamma tricolore. Quell’atto fu l’atto di nascita di una storia che, fra successi e sconfitte, ha portato l’Europa a vedere oggi fiorite tante destre nazionali. Da quella lettera di poche righe, su carta intestata “Il Segretario nazionale del Msi” sgorgò poi l’alleanza con gli spagnoli, con gli inglesi, con i greci, con gli irlandesi, con i tedeschi, con i portoghesi, nacque il Gruppo delle Destre europee, nacque il germe di una nuova Europa.
Una pagina di Storia civile e politica che oggi si chiude ma che, chiudendosi, ne apre un’altra.
Se ne è andato il Menhir. La sua grandezza resta.
Viva Le Pen! Viva Vichy (in ogni caso)…